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Manufacturing e Fase 2: è il momento di tornare a investire

Anche se l’emergenza COVID-19 sembra aver fermato i progetti di modernizzazione è il momento di ripartire, dando finalmente concretezza alla digital transformation non ancora compiuta

Pubblicato il 18 Giu 2020

Smart manufacturing: persona in un cantiere con in mano elmetto da lavoro e tablet

Non v’è alcun dubbio che l’impatto di Covid-19 si sia sentito in modo molto evidente sulle realtà del manifatturiero, sia per le realtà produttrici di beni essenziali, la cui operatività non è mai stata interrotta nelle settimane di lockdown, sia per quelle alle quali sono stati imposti fermi operativi con successive e progressive riaperture.
I primi sei mesi di quest’anno hanno comunque generato nel mondo del manifatturiero una vera e propria disruption, con conseguenze importanti sia a livello di operation, sia a livello sociale e finanziario. Una disruption che ha portato e sta portando le imprese del comparto a ripensare la gestione del rischio e i piani di emergenza, i protocolli di sicurezza della forza lavoro, le modalità stesse di produzione.

Di fatto, il Coronavirus ha generato nuove sfide che impongono oggi alle realtà del manufacturing di innovare a velocità mai sperimentate in precedenza. Le interruzioni nelle supply chain, la necessità di mantenere il social distancing sulle linee di assemblaggio high-touch, la limitata possibilità di spostamento e la necessità di mantenere la supervisione su linee, macchinari e operatori aggiungono importanti complessità nei processi, che se mal gestite potrebbero comportare ritardi, minori rendimenti, impatti negativi sul business e finanche sulla reputazione dell’azienda stessa.

Numerosi osservatori e analisti, da Forbes a PWC, da EY a Gartner, si sono interrogati su quali siano effettivamente gli ambiti che richiedono una particolare attenzione, identificandone di fatto due.

Gestione delle supply chain

L’impatto di Covid-19 sulle supply chain è stato pesante nei mesi scorsi: le inaspettate chiusure di molti mercati, con riaperture irregolari e in genere non a pieno regime, hanno messo in crisi le catene di approvvigionamento e rischieranno di farlo anche nei prossimi mesi, laddove i picchi pandemici dovessero ripresentarsi. Maggiori difficoltà hanno registrato i produttori che si affidano a un solo fornitore per la componentistica, mentre le realtà che sono state capaci nel tempo di organizzare catene di fornitura parallele sono state impattate in modo meno drammatico dalle circostanze.
Restano, comunque, le “lesson learned”, le lezioni apprese.
In primo luogo, è necessario ripensare le supply chain, per garantirsi delle alternative in caso di lockdown di qualche zona geografica, così come c’è chi sta ripensando anche l’organizzazione della produzione, dislocando in più aree i siti produttivi o dando vita a iniziative di co-manufacturing, per garantirsi l’operatività anche qualora un sito si trovi in zona chiusa.

Parallelamente è cambiata anche la domanda da parte dei consumatori, con picchi di richiesta su alcuni prodotti e crollo dei consumi per altri.
In qualche caso le aziende del manifatturiero si sono trovate nella condizione di incrementare i volumi di produzione, in altri hanno riconvertito linee legacy per realizzare prodotti richiesti dalla comunità (pensiamo al caso dei disinfettanti e dei dispositivi di protezione individuale), in qualche caso si sono semplicemente fermate.
Si tratta, in ogni caso, di una situazione che richiede un ripensamento delle capacità di produzione, una riprogrammazione o in qualche caso di re-channeling, laddove si tratti di indirizzare un target diverso da quello tradizionale.

Sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro

Covid-19 ha rappresentato e tuttora rappresenta sfide importanti in termini di disponibilità, sicurezza e produttività della forza lavoro.
Nel nostro Paese, i diversi DPCM che si sono susseguiti e ancor più il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure anti-contagio negli ambienti di lavoro”, adottato il 14 marzo e integrato il 24 aprile, nato da una concertazione che ha coinvolto anche le parti sociali, richiede di prendere in corretto esame una serie di fattori, che vanno dalla promozione di forme di lavoro agile laddove possibile, alla tutela del personale eventualmente colpito dal virus, alla necessità di adottare tutte le misure atte a garantire la tutela della salute e il distanziamento sociale del personale, fino all’introduzione di nuove competenze per coperture multi-ruolo in caso di assenze.
Nelle aziende diventa necessario adottare un approccio “worker first”, che metta per l’appunto al centro la tutela del lavoratore e della sua salute e che richiede di fatto il rispetto dei protocolli, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e di monitoraggio ambientale, ma anche l’adozione di practice che ne tutelino anche il benessere mentale, evitando l’eccessivo isolamento.

Tra le practice raccomandate:

  • Abilitare un’organizzazione di turni flessibili, per poter far fronte a eventuali assenze senza impatti eccessivi sugli scheduling di produzione.
  • Ottimizzare la presenza del personale sulle linee di produzione tenendo conto sia dei requisiti di distanziamento sociale sia del tempo aggiuntivo necessario per le operazioni di sanificazione sia degli spazi sia del personale stesso.
  • Implementare una politica di lavoro a distanza che bilanci sicurezza e continuità aziendale.
  • Implementare nuove pratiche di sicurezza, come la sanificazione regolare degli ambienti di lavoro, i controlli sanitari all’ingresso.
  • Ridefinire i turni di mensa per mantenere il distanziamento sociale tra i lavoratori,
  • Accelerare l’adozione di visori e dispositivi mobili per dare accesso a risorse, tecnici, personale, esperti remoti con i quali è necessaria la collaborazione.
  • Coinvolgere i dipendenti sottoutilizzati in iniziative di trasformazione, nella logica di nuovi sviluppi, sia a supporto di quelle unità aziendali che richiedono capacità aggiuntiva.

La situazione italiana

Va detto che l’effetto della pandemia da Coronavirus sul sistema produttivo italiano è stato comunque pesante.
Confindustria ha parlato di un calo del 5,4% della produzione industriale nel primo trimestre dell’anno e di prospettive di ulteriore peggioramento nel corso dell’anno con calo previsto dell’attività nell’ordine del 15%.
Eppure, non è questo il momento di fermarsi.
Anzi, questo è il momento di accelerare percorsi di digitalizzazione mai avviati in precedenza, oppure avviati ma non portati a compimento.
Aspettare che la soluzione si risolva, che tutto torni come nell’era pre-Covid non serve e rischia, anzi, di essere controproducente.
È più che mai importante ora che il manifatturiero dia il via a un percorso di ridefinizione della propria stessa essenza, recuperando flessibilità organizzativa, puntando sulla digitalizzazione, sull’automazione, sulla servitizzazione, sull’IoT, sulla robotica, sull’interconnessione non solo dei macchinari ma anche degli attori di tutta la supply chain.
Va detto che proprio nei giorni in cui erano in discussione i piani di aiuto, incluso il Recovery Fund europeo, il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli firmava quel Piano Transizione 4.0 – di fatto la quarta generazione del primigenio Piano Industria 4.0 – che prevede crediti di imposta per ricerca, sviluppo, innovazione e per l’acquisto dei beni strumentali.
Nel Piano, che si snoda nell’arco di 5 anni e prevede un impegno complessivo di 7 miliardi di euro, si parla esplicitamente di un credito di imposta del 10% per le attività di innovazione tecnologica “finalizzate alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi o sostanzialmente migliorati per il raggiungimento di un obiettivo di transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0”, nonché di un credito del 40% per gli investimenti in beni strumentali fino a 2,5 milioni di euro e del 20% per la quota che eccede i 2,5 milioni. E, ancora, di un credito d’imposta del 15% per gli investimenti indirizzati all’acquisto di software e servizi funzionali ai processi di trasformazione 4.0

La visione di Vodafone Business: soluzioni per l’Unlock e per il manufacturing

Nel quadro della sua proposta per il mondo delle imprese, Vodafone Business ha sviluppato sia un portafoglio di soluzioni dedicate alla gestione delle Fasi 2 e 3 dell’emergenza Covid-19, sia soluzioni specifiche per il mondo del manufacturing.
Nel primo caso parliamo di soluzioni per il rilevamento della temperatura, come termoscanner o termocamere, sensori per la gestione degli accessi e il controllo delle presenze, strumenti indossabili per il controllo delle distanze e il contact tracing, soluzioni per la sanificazione degli ambienti.
Nel secondo caso, si parla di soluzioni nelle quali l’Internet of Things gioca un ruolo chiave e che spaziano dall’asset tracking, che grazie al geofencing automatizza la visibilità sugli asset e sul loro posizionamento, alla manutenzione remota, dalle soluzioni per il fleet management a quelle di videosorveglianza.

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Maria Teresa Della Mura
Maria Teresa Della Mura

Giornalista, da trent’anni segue le tematiche dell’innovazione tecnologica applicata ai modelli e ai processi di business.Negli ultimi anni si è avvicinata al mondo dell’Internet of Things e delle sue declinazioni in un mondo sempre più coniugato in logica smart: smart manufacturing, smart city, smart home, smart health.

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