Analisi

Le sfide del settore manifatturiero nella trasformazione verso un modello di business agile e resiliente

Roberto Danelli, Manufacturing Industry Lead di Avanade, traccia un quadro del settore, richiamando l’attenzione sulle priorità per il top management e su come le tecnologie e l’innovazione possono supportare la crescita aziendale e la creazione di un vantaggio competitivo

Pubblicato il 25 Gen 2022

shutterstock_1119927341

L’impetuosa trasformazione digitale in atto sta generando un vero e proprio tsunami per le imprese manifatturiere e c’è chi ancora crede di poter attendere e osservare come si evolverà il mercato, prima di avviare progetti di digitalizzazione. Su questo non ha dubbi Roberto Danelli, esperto del settore manifatturiero in Avanade che, con trent’anni di esperienza nel ruolo di consulente, conosce ampiamente le sfide e le leve di sviluppo del sistema produttivo. “Sono partito con un’esperienza in Accenture che mi ha portato a girare il mondo e a incontrare grandi clienti internazionali. Da qualche anno, però, sono concentrato sull’Italia. Qui, il cambiamento in atto coinvolge le imprese manifatturiere che costituiscono il tessuto economico del nostro paese. Queste devono impostare una chiara strategia di digitalizzazione in tempi ridotti perché il mercato oggi cambia e si evolve molto velocemente. Star fermi, in attesa di vedere cosa succede, non è un’opzione, perché il rischio è davvero sparire dal mercato in pochi mesi”.

Roberto, qual è oggi la sfida cruciale per un’azienda manifatturiera?

Le aziende devono capire che concentrarsi solo sul prodotto oggi non è più sufficiente. È necessario dotarsi di tutta una serie di servizi addizionali basati sul paradigma digitale e che si sviluppano a partire dalle esigenze delle persone; siano essi clienti, dipendenti o fornitori.

Il digitale ha oggi un ruolo essenziale per riuscire a far fronte a due grandi cambiamenti che l’industria del manufacturing sta vivendo. Come prima cosa, anche le grandi aziende manifatturiere che tradizionalmente sono abituate a gestire le loro relazioni secondo una logica ‘business-to-business’, oggi si trovano a dover adottare un approccio ‘consumer’ con i propri clienti. Questi, infatti, nel processo di acquisto di un macchinario o di un altro prodotto industriale, si aspettano una user experience analoga a quella che quotidianamente vivono da consumatori: utilizzando i dispositivi mobile, interagendo sui vari canali digitali e social e fruendo di servizi altamente personalizzati.
Inoltre, chi produce ha sempre più interesse a stabilire una comunicazione anche con i consumatori finali, poiché capire la loro prospettiva e le loro esigenze aggiunge valore alla creazione di prodotti sempre più evoluti e innovativi.

L’altro grande cambiamento riguarda gli sconvolgimenti che le supply chain stanno subendo a livello globale. Gli effetti prodotti sulle catene di distribuzione dalla crisi sanitaria da COVID-19 sono solo l’esempio più eclatante che ha costretto le aziende a rallentare di molto la produzione. Crisi economiche e altri fenomeni, come la crescita esorbitante dei costi dei trasporti marittimi, rivelano tutta la fragilità delle attuali supply chain e quanto sia rischioso per le imprese esserne troppo dipendenti.

Quindi, come dovrebbe reagire il settore del manufacturing a questi cambiamenti?

Come dicevo, è fondamentale sviluppare nuovi servizi digitali che, da un lato, rendano queste organizzazioni più agili e flessibili ai mutamenti del mercato; dall’altro consentano di creare nuovi modelli di business, non più unicamente legati alla produzione e commercializzazione del prodotto in sé.
In particolare, le aziende manifatturiere per crescere – o anche solo sopravvivere – sono chiamate a ripensare modelli organizzativi, processi e sistemi in tre aree principali.

In primo luogo, dal punto di vista della resilienza operativa, adottando modelli come Industria 4.0 e la Smart Factory, è possibile implementare processi interconnessi, automatizzati, intelligenti e rendere la capacità produttiva più elastica in rapporto alla domanda. Tutto ciò apre la strada anche al concetto di servitizzazione della manifattura (product servitization). In altre parole, siamo ormai nell’era del prodotto digitale, un modello di business in cui la commercializzazione di un macchinario rappresenta solo una parte del valore fornito al cliente finale. Quest’ultimo, in realtà, compra un servizio sempre più sofisticato che, ad esempio, grazie al connubio di sensori Internet of Things, Intelligenza Artificiale e Machine Learning, consente un continuo miglioramento delle funzionalità del macchinario interconnesso al cloud. È possibile oggi, infatti, ridurre i tempi di fermo delle macchine grazie alla manutenzione predittiva e, quindi, di ottimizzarne progressivamente la produttività. Le aspettative dei clienti prevedono questo tipo di servizi e le aziende manifatturiere che non se ne interessano e non abbracciano la rivoluzione digitale rischiano l’estromissione dal mercato.

Qual è il secondo passo da compiere?

Acquisire maggior agilità organizzativa, perché la sola adozione di nuove tecnologie non basta a “fare la trasformazione digitale”. Serve pianificare in azienda cambiamenti organizzativi ben orchestrati per compiere, in modo meno traumatico possibile, la transizione dal business manifatturiero tradizionale verso il digitale.  È necessario attivare risorse e processi adeguati a gestire i nuovi ritmi e volumi di consumo dei prodotti e servizi digitali. Ciò, specie nelle grandi organizzazioni multinazionali, richiede investimenti e la messa in campo di alte e variegate competenze, non solo tecnologiche, ma anche di change management. In aggiunta, la trasformazione va avviata traguardando un orizzonte ravvicinato per il ritorno dell’investimento. Insomma, la trasformazione digitale per le aziende del settore produttivo non è una metamorfosi che si fa dall’oggi al domani: richiede in primo luogo un cambio di mindset, prima di tutto da parte del top management, e la presa di coscienza di queste priorità. Tra l’altro, date le complesse competenze richieste e i rischi di business insiti nei progetti, non è pensabile gestire in-house questa trasformazione, applicando una strategia ‘fai da te’ e senza affidarsi a consulenti esperti.

E le risorse umane, quale ruolo hanno in questo profondo cambiamento?

Il potenziamento della forza lavoro è una terza leva su cui agire. Oggi, i sempre più numerosi servizi e strumenti digitali diventano asset strategici, perché forniscono al cliente finale un valore molto più grande rispetto a quello erogabile dal solo prodotto fisico. Questo valore, tuttavia, non può essere espresso senza una riorganizzazione e un potenziamento della forza lavoro, le cui funzioni, con il digitale, si estendono ben oltre il business manifatturiero tradizionale. Serve dunque formare e motivare una workforce nuova, che sia pronta e preparata ad amministrare questo radicale cambiamento in cui servizi, supporto, customer care devono funzionare in una logica 24/7.

C’è poi un tema chiave come la sostenibilità, che deve integrarsi nel processo di cambiamento. Perché un progetto di trasformazione digitale abbia successo, il business case deve naturalmente essere solido e sostenibile. Ma è importante pensare anche alla sostenibilità del personale e a come riqualificarlo. Valutare quindi attentamente l’impatto sociale della trasformazione in contesti aziendali dove aumentano le attività svolte in modalità remota e si diffondono modelli di smart working e lavoro ibrido.

Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con Avanade

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Roberto Danelli
Roberto Danelli

Articoli correlati