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Innovazione ad alta velocità: persone, processi, strumenti per migliorare il business

Quali percorsi, quali processi e quali azioni per le aziende che affrontano la trasformazione digitale. IQ Consulting e P4I hanno affrontato questi temi attraverso un confronto con le e imprese

Pubblicato il 18 Ott 2018

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Innovazione ad alta velocità. Questo il titolo dell’incontro organizzato da IQ Consulting (IQC) e Partners 4 Innovation (P4i). Un incontro che ha avuto messo in evidenza attraverso casi concreti come i percorsi d’innovazione che portano le imprese a diventare “smart” passino attraverso l’adozione di nuovi modelli di business, abilitati da processi di produzione digitali, prodotti intelligenti e connessi e processi decisionali data driven, attraverso la creazione di nuovi modelli collaborativi capaci di abbracciare all’interno delle imprese tutti i collaboratori e di coinvolgere i partner di filiera a monte ed a valle.

Per questo, la giornata si è svolta disegnando un ideale fil-rouge che ha toccato le diverse aree di valore per il mondo delle imprese, evidenziando gli strumenti e i metodi dell’innovazione possibile.

Risk Management: gestire il rischio nella fornitura

È Marco Perona, senior Partner di IQ Consulting, che apre i lavori con una domanda chiave: quanto frequentemente falliscono i fornitori?
“Abbiamo condotto un’analisi, abbracciando tutte le casistiche e siamo giunti alla conclusione che nell’impresa media fallisce un fornitore ogni quattro anni e che per oltre metà delle volte le causa del fallimento è il default finanziario. La domanda successiva che ci siamo posti è: quanto costa rimediare al fallimento di un fornitore?”.
Le cifre aiutano: la media è di 120.000 euro, tra perdite di opportunità e del vantaggio competitivo e costi necessari per trovare un nuovo interlocutore, duplicare attrezzature ed utensili specifici, riattivare la produzione e rimediare ai disservizi.
“Il caso peggiore che abbiamo trovato? Un danno da un milione e mezzo di euro”.
Ed è per questo che diventa necessario per le aziende disporre di metodologie e strumenti basati sui dati, in grado di anticipare tali eventi negativi.
Per IQC lo strumento si chiama Switch, una soluzione, nata dalla ricerca, che consente alle imprese di generare una mappa del rischio sulla loro rete di fornitura attraverso l’analisi dei fornitori, la valutazione della probabilità di default finanziario per ciascuno di essi, e la misurazione del possibile danno economico connesso al loro fallimento. Il tutto grazie ad algoritmi consolidati, che si appoggiano a dati disponibili alle aziende o reperibili nel cloud.

Il testimonial che accompagna Perona è Gianluigi Brembilla, amministratore delegato di Air Liquide Medical Systems Italia. Un’azienda con una anagrafe fornitori piuttosto articolata e complessa, che aveva bisogno di uno strumento in grado di analizzare i dati su ciascuno di essi in modo puntuale, senza condizionamenti, basandosi su parametri oggettivi ed omogenei.
“Un’analisi per noi indispensabile, per poter dare garanzia al nostro business, assicurare i corretti livelli di servizio, garantire la compliance alle procedure di gruppo”.

Tempi e costi: la sfida del project management

È Andrea Bacchetti, Associate Partner di IQ Consulting, che tocca un altro punto cruciale per le imprese che vogliono intraprendere percorsi di innovazione: il corretto rispetto di tempi e costi nella gestione dei progetti.

“A chi di voi non è mai capitato di andare lunghi con un progetto o sforare i costi preventivati di una commessa?”, ha esordito Bacchetti, che ha subito evidenziato il motivo per cui spesso la gestione dei progetti avvenga in modo non adeguato: “La mancanza di un approccio orientato ai risultati. Un approccio che richiede una mentalità aperta all’innovazione e al cambiamento, una organizzazione coerente, competenze adeguate e strumenti appropriati”.
Anche in questo caso, IQ Consulting ha sviluppato una propria proposta: Geco, una soluzione per la gestione delle commesse e dei progetti innovativi.
“In realtà, GECO – lo definisce Bacchetti – è una soluzione al problema della gestione di progetti e commesse, costituito da una suite di servizi e da un applicativo”, che parte da un check up sulla cultura del progetto, passa attraverso la formazione, perché questa cultura non solo cresca, ma si diffonda, per poi approdare alla fase applicativa vera e propria, con l’utilizzo di un applicativo che consente di seguire le fasi di coordinamento, pianificazione e controllo dei progetti. Le potenzialità di GECO possono essere “scaricate a terra” con il supporto di un Temporary Project Manager che funga da coach per le persone che lavorano al progetto.

Anche in questo caso un testimonial, Federica Perdezoli, general manager di Meccanica Pi.Erre.
“Geco fa poche cose e molto chiare: è una soluzione snella, che coordina le attività all’interno del progetto, pianifica l’impiego delle risorse all’interno dei progetti attivi, supporta la contabilità del progetto a preventivo e a consuntivo”, commenta Pederzoli, sottolineando come lo strumento in realtà sia utile ad aziende di qualunque dimensione, “perché aiuta a superare le inefficienze in tutte le fasi, consentendo da un lato di non perdere in marginalità, dall’altro di mantenere anche un benessere organizzativo che non penalizzi la qualità della vita e del lavoro dei dipendenti”.

Verso la servitization: il caso Ricoh

Nicola Saccani, professore associato università di Brescia, introduce uno dei temi sui quali più si sta concentrando l’attenzione del mondo manifatturiero: la servitizzazione, vale a dire il passaggio dall’offerta di prodotti oppure di servizi, verso un’offerta più ricca capace di offrire soluzioni complete ai problemi dei clienti.
“Il cliente – spiega – non acquista più un prodotto, ma la soluzione a un suo bisogno. E questo comporta dei cambiamenti importanti. Cambia il modello di ricavo, aumenta il ruolo delle tecnologie e dei dati, con lo sviluppo di prodotti smart e connessi. Cambia anche il modello relazionale con il cliente. Il cliente diventa centrale ed è importante conoscere ciò che il cliente farà con il prodotto che acquista”.

Tutto questo, necessariamente deve passare da un cambiamento importante anche all’interno dell’organizzazione aziendale, sia in termini di cultura, sia di strategie e modelli di business, sia in termini di service delivery e operation.
Anche in questo caso, IQ Consulting ha sviluppato una propria proposta, in collaborazione con il Laboratorio RISE dell’Università di Brescia.
Si chiama Innoserve ed è una metodologia “che supporta le aziende nell’affrontare le sfide per il passaggio da prodotto a soluzione.

La testimonianza, in questo caso, arriva con Andrea Gombac, direttore Customer Service e CTO di Ricoh Italia.
“Per chi opera nel mondo del print e del copy – ha osservato Gombac – il concetto di vendita di servizio è tema acquisto ormai da tempo. Ci occupiamo di un business connesso e data driven da venti anni ormai, vale a dire dall’avvento del pay per page”.
In questo caso, però, Gombac parla di un progetto più recente, sviluppato con l’obiettivo di migliorare le operations nell’ambito della gestione dei ricambi e delle scorte direttamente sui veicoli dei tecnici di assistenza.
“Il nostro modello di business non prevede magazzini per la gestione dei ricambi. Abbiamo però circa 4.000 operatori del field service in Europa, dotati dei cosiddetti car stock, vale a dire di furgoni corredati di forniture di ricambi”.
Per lo sviluppo del progetto, Ricoh è partita insieme a IQC dall’analisi e dal benchmark delle attività di assistenza in quattro Paesi europei, tra i quali figura anche l’Italia, per poi passare alla fase 2, nella quale si è provveduto all’ottimizzazione del car stock.
“Nella prima fase sono state analizzate le strutture dei costi e l’incidenza dei ritorni al cliente e sono state analizzate le best practice. Nella seconda abbiamo messo a punto 99 scenari di simulazione differenti. Un lavoro importante, nel quale si è proceduto alla revisione digitale dei processi, nel quale sono entrati in gestione oggetti connessi e interconnessi distribuiti sul territorio e nel quale IT e OT hanno collaborato per trarre il vero valore dai dati”.
“Un progetto complesso e possibile, perché la base dati sulla quale effettuare le analisi era effettivamente completa”, ha concluso Saccani.

La Digital Transformation parte dalla formazione dei dipendenti

Tutti i progetti di innovazione di cui abbiamo fin qui parlato partono dal presupposto che all’interno dell’azienda vi sia una cultura che accolga il cambiamento e che coinvolga attivamente tutti i dipendenti.
Non è dunque un caso che Marco Planzi, Associate Partner di P4I abbia scelto di parlare della formazione digitale del personale aziendale, avvalendosi, fin da subito, della testimonianza di Matteo Villa, Training Global HT & Open Organisation in Zambon.
Sin dallo scorso anno Zambon si è posta l’obiettivo di diffondere la cultura del digitale e dell’innovazione tra tutti i propri dipendenti, in tutti i Paesi nei quali opera (se ne parla diffusamente in questo servizio di Digital4).
Per prima cosa, è stato effettuato un digital checkup su tutti i collaboratori, con l’obiettivo di comprendere in quale misura fossero in grado di cogliere le opportunità e il valore delle tecnologie digitali, ma anche quanta capacità ci fosse di utilizzare l’innovazione per risolvere problemi.
Villa parla di “Digital Readiness” e di “Innovation Capabilities”.
Una volta effettuato il check-up, proposto con una forte componente di gamification, ha preso il via la vera e propria digital school aziendale.
“Si tratta di un percorso di apprendimento che tiene conto del livello di readiness di ciascun collaboratore. Per questo si parte, con una metafora sportiva, da un livello base – Start – per poi gradualmente proseguire verso il Get Fit, l’Advanced e l’HIIT, l’allenamento ad alta intensità”.
Obiettivi?
Ben chiari: sviluppare idee innovative nell’ambito della collaborazione, abilitare la creazione di team cross-funzionali, imparare a gestire i processi di innovazione.

Verso l’Industria 4.0

Miragliotta

Non si può parlare di progetti di innovazione all’interno delle aziende del settore produttivo, senza fare riferimento al tema dell’Industria 4.0.
Ed è di questo che hanno parlato Giovanni Miragliotta, partner di IQ Consulting, e Giorgio Bassani, Corporate Human Resources Director di Intercos, azienda italiana attiva nel mondo della cosmetica, che produce in conto terzi per i più importanti player di questo settore.
“Una decisione naturale, quella di muoverci verso il paradigma Industria 4.0 – ha spiegato Bassani -. Per poter restare competitivi dovevamo migliorare qualità, servizio, efficienza. Per questo abbiamo iniziato a pensare a una innovazione di processo come al naturale completamento del percorso già intrapreso sull’innovazione dei prodotti”.
Innovazione di processo, sottolinea Bassani, a significare che è lì che si deve intervenire prima che sulla tecnologia.
Conferma Miragliotta, che parla di una revisione “con il dato al centro” e di una “totale apertura dei processi decisionali, anche esterni all’azienda”.
Anche in questo caso, la metodologia è stata determinante.
In primo luogo è stato necessario un forte commitment da parte della presidenza e degli stakeholder, in secondo luogo si è deciso di partire dalle principali aree strategiche, senza pretendere di affrontare il cambiamento globale fin dall’inizio.
“Il progetto si è sviluppato in due fasi – raccontano Bassani e Miragliotta -. Nella prima, che ha coperto il periodo Gennaio-Luglio 2018, è stata effettuata un’analisi dettagliata dei processi, dei sistemi informativi, delle tecnologie e dell’organizzazione per comprendere quali, tra le tecnologie considerate abilitanti per l’Industria 4.0 potessero effettivamente rafforzare il posizionamento di Intercos”.
In questo caso la scelta è caduta su PLM, Factory e Supply Chain, IT e Project Management.
“La seconda fase, tutt’ora in corso, punta all’adozione e all’implementazione della roadmap definita nella prima fase, con tutte le componenti di budgeting, risorse e governance”.

Una Digital People Strategy

Anche Mariano Corso, Direttore Scientifico di P4I, torna sul tema dell’impatto del cambiamento in atto sulle persone.
Bisogna prendere atto che la rivoluzione digitale sta toccando tutti e che nuove tecnologie e nuovi modelli di consumo sono destinati a rivoluzionare settori interi e moltissime figure professionali.
“I messaggi che circolano sull’impatto delle nuove tecnologie e dei nuovi modelli di business sono altamente discordanti. Si va da analisi che preconizzano perdite elevatissime di posti di lavoro, ad altre che invece attribuiscono alle tecnologie la creazione di lavori e posti di lavoro del tutto nuovi. Tutto questo non fa che creare ansia, senso di impotenza e paura in chi riceve questi messaggi”.

Per questo motivo, prosegue Corso, “Bisogna creare clima di ingaggio che favorisca il cambiamento, superando la passività delle persone. Bisogna essere consapevoli che la trasformazione digitale potrà avere successo solo se accompagnata da un approccio umano”.
Esiste un modello di riferimento, che parte dalle capacità digitali delle persone, passa per lo smart working, la trasformazione dei processi, il riconoscimento dei talenti individuali, per poi dar vita a una vera e propria cultura digitale in azienda.

Ed è questo il modello di cui è testimone Alessandro Camilleri, Head of Learning and organization development in Hera.

La multiutility Bolognese è partita dalla consapevolezza che le tecnologie digitali non bastano: il maggior valore per un’azienda viene ancora dalle persone ed è quindi su di loro che bisogna investire.
Questo investimento è avvenuto attraverso il progetto “HeraFutura”, partito con una fase di assessment interno, per capire quali competenze digitali fossero presenti in azienda. (Anche di questo progetto si parla diffusamente in questo servizio di Digital4)
“Abbiamo riscritto il nostro DNA digitale – spiega Camilleri – sulla base di quattro competenze chiave: digital, data analytics, smart working e ICT. E sulla base di queste competenze e della loro diffusione, abbiamo costruito un percorso di empowerment dei nostri dipendenti”.
Il risultato?
“Ci siamo resi conto che non esiste un’unica ricetta: definire una struttura organizzativa e processi standard facilita la fase iniziale, ma poi sarà la diffusione e l’interiorizzazione di una nuova cultura imprenditoriale a rendere di successo le iniziative che si deciderà di lanciare”.

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Maria Teresa Della Mura
Maria Teresa Della Mura

Giornalista, da trent’anni segue le tematiche dell’innovazione tecnologica applicata ai modelli e ai processi di business.Negli ultimi anni si è avvicinata al mondo dell’Internet of Things e delle sue declinazioni in un mondo sempre più coniugato in logica smart: smart manufacturing, smart city, smart home, smart health.

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