eCommerce

eCommerce: perché (ancora) non possiamo fare la spesa online

Il settore alimentare e la Gdo in generale dovranno cambiare le modalità di effettuare la spesa, anche con metodi di consegna innovativi. Il digitale sta permettendo di sperimentare nuovi modelli di business e l’evoluzione del food e del grocery è appena iniziata

Pubblicato il 12 Mag 2020

Sara Leonetti

consulente marketing e comunicazione

ecommerce

Emergenza Covid-19: di fatto, la grande distribuzione si è fatta trovare impreparata alla sfida della spesa online: magazzini svuotati, siti irraggiungibili, consegne dopo settimane e settimane, disservizi e problemi… Non è solo un problema di marketing o di strategia di retail: all’epoca del coronavirus, poter acquistare la spesa alimentare in remoto è una misura fortissima di prevenzione del contagio, oltre a essere un modo per raggiungere le tante persone e famiglie ancora costrette all’isolamento domiciliare.

Come sono andate le cose nella Gdo

Esselunga ha fatto della spesa online un carattere distintivo del proprio marchio e vende e consegna online da oltre vent’anni. Eppure non è riuscita a garantire un servizio di delivery accettabile (in media, due settimane dall’ordine). E Carrefour ha addirittura attivato procedure di coda automatica sul sito intasato a causa dei numerosi accessi. E non parliamo di chi, come Conad e Coop, non ha piattaforme di eCommerce su tutto il territorio nazionale ma solo esperimenti localizzati nel Nord Italia.

Se escludiamo siti specializzati di e-commerce (come supermercato24.it) che si propone più come gestore del servizio, le grandi catene e i marchi più noti della Gdo sembrano aver tralasciato totalmente nei loro piani strategici la voce “e-commerce”. Per fortuna c’è Amazon che consegna ovunque e che ha attivato, da qualche anno, il servizio “Amazon Pantry”, tarato proprio sui beni di prima necessità. Si, ma anche Amazon non ce l’ha fatta a superare la prova Covid-19: l’elevato turn over dei prodotti ha messo in crisi anche le forniture e le riforniture tradizionali e, anche se virtuali, gli scaffali di Amazon si sono svuotati.

In realtà acquistare la spesa online era un’esperienza faticosa anche prima: se escludiamo le grandi città, nel resto dell’Italia, fatta di borghi, paesini e cittadine, la spesa a domicilio è un miraggio o un incubo, a seconda del punto di vista. I dati dell’Osservatorio eCommerce B2c, realizzato ogni anno da Netcomm e dal Politecnico di Milano, ci dice che solo il 6,5% dei comuni è servito dall’e-commerce. Torniamo alla domanda del titolo: perché non possiamo fare la spesa online?

Perché la Gdo non sfrutta l’eCommerce

Questa emergenza sta dimostrando le potenzialità di questo settore. Nielsen ha rilevato che, nelle prime tre settimane di lockdown, le vendite tradizionali della grande distribuzione organizzata sono cresciute a doppia cifra, ma già dalla quarta settimana (22 marzo) il trend delle vendite a valore rallenta, anche se rimane positivo rispetto allo stesso periodo del 2019: +5,4% a parità di negozi. Mentre, per quanto riguarda l’e-Commerce, il trend delle vendite di prodotti di largo consumo online da lunedì 16 a domenica 22 marzo è stato del +142,3%.

Ma facciamo un passo indietro. Torniamo allo scorso anno, a quando la pandemia era solo un termine usato nel passato e non nel presente. Lo stesso Politecnico di Milano ci dice che nel luglio 2019 le vendite online del settore grocery sono cresciute a doppia cifra rispetto all’anno precedente: +39%. Ottimo. Peccato che però pesino solo il 5% del venduto totale del 2019 e con una forte incidenza del cibo da asporto.

Ma se l’eCommerce in Italia continua a crescere a doppia cifra ed è ormai penetrato in tanti settori merceologici, perché la Gdo non lo sfrutta?

Già nel 2005, in una tesi in marketing dal titolo: “L’innovazione nella grande distribuzione organizzata”, la scrivente parlava di carrelli intelligenti, spesa automatica, modalità di pagamento come il click & pay, controllo vocale delle barriere casse, sistemi di fidelizzazione e di targettizzazione spinti. Immaginavo un futuro prossimo in cui sarebbe stato il carrello a valutare lo storico dei miei acquisti e propormi, direttamente a casa, la spesa ideale. Sono passati 15 anni e quelli che ho descritto sono rimasti degli esperimenti da laboratorio. Attenzione, la tecnologia abilitante c’era all’epoca e ci sarebbe ancora di più oggi. Quello che manca è la strategia. I retailer italiani non ci credono e non ci puntano.

Fatta eccezione per le grandi catene del Nord Italia, quelle presenti nel Centrosud hanno scommesso totalmente sui punti vendita fisici, sulla possibilità di fare cross selling al banco salumi e sugli acquisti d’impulso in avancassa. Il loro primo obiettivo di vendita non è il prodotto, ma il punto vendita che nel tempo è diventato bello, ricco, dinamico. Un altro tema da valutare è sicuramente l’integrazione dei canali: far dialogare negozianti e operatori e-commerce non è mai facile, soprattutto in un settore così tanto governato dal fattore prezzo e dallo sconto. Oppure, ci potrebbero dire, che i clienti non lo richiedono e che sono felici di uscire e fare l’esperienza di acquisto della spesa. In realtà questa emergenza ci sta dimostrando il contrario e, nelle città coperte da questo servizio, lo richiedono eccome. Anzi, ci sono fasce di popolazione (anziani, diversamente abili, neogenitori) per cui è quasi necessario e lo sarà anche post Covid19.

Conclusioni

Ci aspettiamo nuove modalità di fare la spesa. In questo scenario di profonda trasformazione, i consumatori stanno sperimentando nuove modalità di fare la spesa e avranno esigenze e necessità differenti anche in futuro. Oggi i clienti del 93% dei comuni non serviti da eCommerce stanno sperimentando la spesa online grazie ai negozi di quartiere o alle piccole botteghe che sono fuori dai circuiti della distribuzione organizzata e che hanno utilizzato e-mail, whattsapp, Facebook o messaggi testuali per fare ordini a distanza. E hanno basato la promozione su social network e passaparola.

Questa fase di emergenza ha dato una spinta e un’accelerazione ai processi di digitalizzazione dei retailer. Ma ora la vera domanda è: “che succederà poi”? I negozi che si sono dotati di strumenti, anche se temporanei, stanno già pensando a cosa fare? Amazon, che in attenzione al cliente non perde un colpo, scrive sul proprio sito che potenzierà la fornitura di prodotti di prima necessità, anche a scapito degli altri. I piccoli negozi di prossimità stanno cercando di capire come mettere su un sito e organizzare meglio questo business e strutturare le consegne anziché affidarsi a riders improvvisati.

Il settore del food e la Gdo in generale dovranno cambiare le modalità di effettuare la spesa: non solo online, ma anche con metodi di consegna innovativi (come ad esempio il click&collect in store o il drive-in) e con soluzioni sempre più semplici, come l’abbonamento o la disponibilità di liste della spesa preimpostate. Il digitale sta permettendo di sperimentare nuovi modelli di business e l’evoluzione del food e del grocery è appena iniziata. Solo le imprese in grado di coniugare tutte queste nuove esigenze dei consumatori con le nuove tecnologie e solo quei retailer che creeranno nuovi modelli di business adattivi e innovativi, potranno essere vincenti. Perché il cliente ha sempre ragione…

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

L
Sara Leonetti
consulente marketing e comunicazione

Articoli correlati