Il rebus delle competenze in ambito sanitario

Fino a qui abbiamo discusso le attività che caratterizzano la logistica dei materiali sanitari e la pianificazione delle risorse sanitarie più critiche. A più riprese, è emerso come siano per lo più assenti nelle aziende sanitarie ed ospedaliere le competenze adatte a sviluppare queste attività. Ma quali sono queste competenze e qual è la cultura aziendale che le fa nascere e le stimola? Lo discutiamo in questo ultimo capitolo del ciclo “Sanità: l’ottimizzazione delle operations, una sfida possibile?”, che parla di metodi di lavoro, di applicativi software e della cultura del dato

Pubblicato il 12 Ott 2020

Marco Perona

Professore Ordinario, Laboratorio RISE, Università di Brescia, Senior Partner IQ Consulting

Massimo Zanardini

Consulente di IQ Consulting - Spin-off dell'Università degli Studi di Brescia

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L’importanza delle competenze in ambito sanitario

Fino a qui abbiamo discusso le principali attività che caratterizzano la logistica dei materiali sanitari e la pianificazione delle risorse sanitarie più critiche. A più riprese, durante la trattazione, è emerso come siano ad oggi per lo più assenti nelle aziende sanitarie ed ospedaliere le competenze adatte a sviluppare nella maniera più idonea queste attività. Ma quali sono queste competenze e qual è la cultura aziendale che le fa nascere e le stimola? Lo discutiamo in questo ultimo capitolo, che parla di metodi di lavoro, di applicativi software e della cultura del dato.

Implicito, esperienziale o formalizzato? Il valore del metodo

I processi che abbiamo descritto nei precedenti capitoli fanno parte della consolidata teoria manageriale dell’operations management, e possono essere facilmente adattati ed applicati al settore sanitario, come speriamo di avere efficacemente documentato. Crediamo di avere illustrato in modo sufficientemente convincente anche quali rilevanti vantaggi essi possano comportare nelle aziende sanitarie che li applichino a regola d’arte. Tuttavia, nella maggior parte dei casi a noi noti nelle aziende sanitarie (figura 7) essi vengono realizzati in modalità implicita.

È inevitabile che in qualsiasi azienda ospedaliera vengano prese decisioni, come ad esempio che quantità di quale farmaco tenere nel magazzino centrale della farmacia ospedaliera, oppure quale sequenza di esami far realizzare alla TAC in un certo specifico giorno: tuttavia, tipicamente non esiste una persona o una organizzazione deputata a prendere queste decisioni, e non esiste una funzione obiettivo esplicita che deve essere ottimizzata e quindi esse si formano -per così dire- in modo spontaneo, senza che vi sia un piano preordinato, una specifica responsabilità, una tecnica gestionale ed un risultato, e dunque anche qualcuno che sia responsabile dei risultati raggiunti.

Ad esempio, i farmaci vengono disposti all’interno del magazzino della farmacia ospedaliera senza particolare criterio, utilizzando la prima ubicazione libera, così che poi è necessario del tempo, oppure molta memoria, per ritrovarli. Oppure, la sequenza delle operazioni che uno specifico blocco operatorio realizzerà viene definita sulla base dell’istante in cui esse vengono richieste, senza alcuna attenzione alle eventuali incompatibilità, oppure all’esigenza di tenere dei tempi liberi per allocare eventuali urgenze. Questo è tipicamente lo stato “nativo” in cui si trovano queste attività e processi, laddove non sia ancora emersa chiaramente la consapevolezza della loro importanza per il compimento della missione dell’organizzazione che li realizza. Evidentemente in questi contesti non è neppure pensabile che si possano ottenere prestazioni eccellenti, anche perché tipicamente non vengono raccolte le misure atte a quantificare i risultati.

Nella maggior parte delle organizzazioni industriali che conosciamo l’importanza di queste attività e processi è riconosciuta, ed esse sono state quindi esplicitate, descritte ed organizzate, affidandole a specifici manager. Soluzione ottimale? Niente affatto, perché nella maggior parte dei casi tali decisori agiscono in modalità esperienziale, ossia decidono facendo ricorso all’intuito ed all’esperienza, e non sulla base di metodi quantitativi e formalizzati. Purtroppo, in contesti complessi come questi, usare il buonsenso e fare ciò che sembra, volta per volta, meglio, può portare a risultati ingannevoli e lontani dall’ottimo. Ad esempio, in alcuni magazzini di farmacie ospedaliere, per evitare di dover ogni volta cercare i farmaci collocati sul primo scaffale libero, essi vengono ordinatamente disposti in sequenza alfabetica. Questo criterio però non tiene conto di un aspetto consolidato nella prassi di gestione delle ubicazioni di magazzino, che cioè per minimizzare il lavoro di magazzino è opportuno disporre in ubicazioni vicine al punto di prelievo i materiali a più alta rotazione (quelli cioè che vengono prelevati più frequentemente) e via via più distanti quelli a rotazione minore. L’assenza di un criterio decisionale univoco e formalizzato può anche costituire la causa di decisioni discordanti: ad esempio nella medesima struttura sanitaria, due pianificatori del medesimo blocco operatorio decidevano il programma di lavoro delle diverse camere operatorie seguendo criteri molto diversi: uno tendenzialmente più orientato all’utilizzo, e l’altro più orientato alle urgenze, generando frequenti conflitti ed infattibilità.

Il modello che permette di ottenere una prestazione uniformemente superiore, è quello di riferirsi a metodi formalizzati e quantitativi. Per tutti i diversi processi decisionali descritti, dalla gestione delle ubicazioni di un magazzino, al dimensionamento delle scorte di materiali, alla previsione della domanda di una certa risorsa, alla schedulazione di una struttura critica, la letteratura specializzata propone decine e decine di metodi quantitativi, più o meno ottimizzanti, capaci di adattarsi pressoché a qualsiasi contesto. Per di più, oltre all’ovvio miglioramento prestazionale che offrono, questi metodi permettono di esplicitare una conoscenza implicita che sarebbe giusto appartenesse all’azienda, ma che frequentemente è detenuta dagli addetti. In pratica, se una azienda sanitaria dipende da un proprio collaboratore che da decenni ha sviluppato un’esperienza nella schedulazione delle camere operatorie, questa competenza andrà irrimediabilmente perduta quando l’addetto sarà collocato a riposo, a meno che essa non venga formalizzata entro un metodo quantitativo ed esplicito.

Quindi, la prima importante competenza che serve per migliorare queste attività e processi è la capacità di scegliere ed impiegare metodi espliciti, quantitativi e formalizzati, e di perseguire funzioni obiettivo altrettanto esplicite, quantitative e formalizzate: insomma, un po’ come dire che per dimagrire il primo passaggio è porsi degli obiettivi raggiungibili e quantitativi, acquistare una bilancia e misurare i miglioramenti, più ancora che identificare la specifica dieta da seguire.

Nella scelta di un metodo quantitativo, non bisogna però dimenticare che questi metodi comportano grandi benefici ma hanno sempre un costo: infatti, nella pratica, implementare un metodo formalizzato e quantitativo frequentemente vuole dire farsi supportare da un applicativo software, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Competenza nel mondo sanitario e innovazione digitale: gli applicativi software

Un grande aiuto all’applicazione di metodi formalizzati, standardizzati, ripetitivi e quantitativi a supporto delle decisioni dianzi descritte può venire dall’utilizzo di applicativi software (figura 8). Per ciascuna di dette attività e processi, sono disponibili decine di applicativi commerciali che possono essere validamente impiegati, ciascuno dei quali è parametrizzabile in vario modo per applicare metodi diversi. E molti di questi applicativi non si limitano a supportare solo una di queste attività, ma ne integrano numerose.

Ad esempio, gli applicativi della famiglia Warehouse Management System (WMS) forniscono una serie di funzionalità a supporto:

  • dell’impostazione delle politiche di pianificazione dei materiali per gli articoli conservati all’interno di uno specifico magazzino
  • dell’emissione degli ordini di replenishment per ciascun articolo considerato
  • della scelta della ubicazione più corretta dove posizionare ciascuno specifico articolo, ed alla successiva memorizzazione di quale quantità di quale articolo sia correntemente stoccata entro quale ubicazione
  • della gestione delle date di scadenza relative a ciascuna confezione depositata nel magazzino
  • della esecuzione delle missioni di prelevamento da magazzino e di versamento dei materiali a magazzino
  • della raccolta dei dati relativi al funzionamento del magazzino, e della loro strutturazione in report atti a misurarne le prestazioni nel tempo

Se traguardiamo la funzionalità che supporta la scelta delle ubicazioni, frequentemente essa offre diversi criteri, in maniera da adattarsi a vari contesti: ad esempio può supportare l’attribuzione di ubicazioni statiche, sistema che prevede di attribuire costantemente nel tempo le medesime ubicazioni ai medesimi articoli; oppure dinamiche, cambiando l’allocazione ubicazione – articolo nel tempo in funzione delle condizioni di contesto. E nell’ambito delle politiche statiche possono essere supportate ad esempio sia la semplice politica di ordinare le ubicazioni per ordine alfabetico, sia quella più sofisticata di assegnare agli articoli un’ubicazione la cui prossimità al punto di prelievo sia inversamente proporzionale alla frequenza di prelievo. Allo stesso modo, le missioni di prelievo dei materiali potranno essere pilotate ad esempio con una logica “per codice”, in cui quotidianamente si accede solo una volta all’ubicazione che contiene un certo articolo, accorpando tutte le spedizioni di quell’articolo da svolgere nel giorno: questo metodo però costringerà a svolgere tante missioni quanti sono gli articoli diversi da inviare con ciascuna spedizione; oppure con una logica “per spedizione” in cui si accede a magazzino una sola volta per ciascuna spedizione, procurandosi tutti gli articoli necessari per quella spedizione, ma con l’effetto di dover accedere più volte alla stessa ubicazione nel caso che diverse spedizioni nel giorno richiedano il medesimo articolo.

Pertanto, ciascun applicativo software che possa utilmente essere implementato a supporto di una o più delle attività sopra illustrate potrà essere parametrizzato nella maniera da applicare le politiche che si riterranno le più opportune, scegliendo tra una (più o meno) ampia gamma di opzioni.

I vantaggi che comunemente vengono attribuiti all’utilizzo di applicativi allo stato dell’arte sono tre:

  • automatizzare, ossia consentire la realizzazione delle medesime attività svolte in precedenza, ma con un minor dispendio di tempo uomo: ad esempio, una applicazione WMS allo stato dell’arte tiene conto automaticamente tramite la semplice lettura di un bar code della ubicazione dove una confezione di farmaco è stata depositata e consentirà di ritrovarla automaticamente ed istantaneamente in seguito;
  • informatizzare, cioè fornire informazioni più tempestive, complete e corrette a supporto delle decisioni, che quindi saranno prese più rapidamente ed in maniera più efficace: ad esempio, se dispongo di un applicativo capace di rilevare in real time lo stato del blocco operatorio, sarò in grado di prendere decisioni di ri-schedulazione perfettamente tempestive ed informate.
  • abilitare nuove attività prima praticamente non realizzabili: ad esempio un buon applicativo previsivo potrà consentire di pianificare le scorte e gli acquisti dei materiali sanitari sulla base di un piano dei consumi proiettato nel futuro, tenendo anche conto di una scorta di sicurezza dimensionata sulla base della accuratezza attesa della previsione.

Un altro evidente vantaggio offerto dalle applicazioni integrate è la possibilità di condividere i dati con altre funzioni, attività ed applicativi. Ad esempio, un WMS potrà trasmettere in tempo reale le informazioni sulle transazioni di magazzino al ERP aziendale, provvedendo all’aggiornamento in tempo reale delle giacenze anche in quel sistema, ed evitando quindi doppie digitazioni, o peggio ancora dati incongruenti, garantendo un controllo anche amministrativo tempestivo ed efficace sulle disponibilità dei materiali sanitari.

Per proseguire quindi l’esempio della dieta sopra iniziato, la seconda competenza di cui c’è bisogno per dimagrire è di dotarsi di una bilancia adeguata. Semplicemente misurare il peso è la funzione fondamentale, ma può non essere sufficiente: discriminare tra parte grassa e magra è certamente utile, così come tenere traccia dell’evoluzione del peso nel tempo e confrontarla con gli obiettivi posti è anch’essa una funzionalità utile. E la competenza che abilita la scelta e l’utilizzo dell’applicativo più adatto, in maniera simile, è la seconda area da sviluppare per affermare anche all’interno delle aziende sanitarie l’impiego di metodi e strumenti professionali ed allo stato dell’arte.

A fronte di questi indubbi vantaggi, però, l’impiego di applicativi implica anche la realizzazione di attività non richieste da una gestione manuale. In molti casi, ad esempio, è necessario parametrizzare gli applicativi popolando delle basi di dati che una gestione manuale non richiede necessariamente: ad esempio un buon WMS deve possedere al proprio interno una mappa precisa delle ubicazioni disponibili a magazzino, senza la quale non potrà, ovviamente, svolgere la propria funzione; ognuna di quelle ubicazioni inoltre dovrà essere etichettata con un codice a barre ad essa associato univocamente nel sistema, così da poter facilmente collegare le confezioni ivi ubicate con l’ubicazione che le contiene. Ed ogni volta che la configurazione degli scaffali cambia, perchè vengono aggiunte o modificate le ubicazioni, tale modifica dovrà essere mappata nelle tabelle dell’applicativo. Allo stesso modo, per poter schedulare con precisione le attività di un blocco operatorio, il corrispondente applicativo dovrà conoscere le diverse tipologie di operazioni chirurgiche, quali di esse sono fattibili da quali camere operatorie in alternativa e non fattibili invece da altre, quali squadre specialistiche ed attrezzature sono richieste per la realizzazione di ciascuna operazione, la durata attesa di ciascuna operazione, etc. Senza questi dati il sistema non potrà funzionare e non riuscirà a produrre i risultati sperati: ma, peggio ancora, se verrà alimentato con dati incompleti, non aggiornati o scorretti l’applicativo produrrà risultati errati ed ingannevoli, secondo il noto principio: garbage in, garbage out. Alimentare il sistema con dati completi e corretti, e soprattutto mantenerli aggiornati quando il contesto cambia, costituisce frequentemente il tallone d’Achille delle soluzioni informatizzate, ed è anche il principale motivo che ne può determinare il fallimento.

Saper misurare le prestazioni: competenze per il miglioramento del servizio sanitario

Un vecchio adagio coniato da un noto guru del management recita: “non puoi migliorare ciò che non conosci, e non conosci ciò che non sai misurare”. In effetti, forse il più grande vantaggio che può derivare dall’utilizzo a regola d’arte di un applicativo specialistico è proprio la sua capacità diagnostica, ovvero le informazioni che il sistema ci fornisce e che permetteranno ai manager di conoscere meglio e quindi di migliorare il funzionamento dei processi supportati, aumentandone contemporaneamente l’efficienza e l’efficacia e riducendone il livello di rischio. Quanto frequentemente si registra lo stockout di un materiale sanitario, e per quanto tempo? Qual è il livello di saturazione del magazzino? Quanto riesco mediamente ad utilizzare le mie sale operatorie? E quanto tempo mediamente debbono attendere i pazienti per ricevere un’operazione non urgente? Sono tutte domande alle quali sarebbe difficile se non impossibile rispondere in un contesto gestito in modo implicito o esperienziale, ma la cui risposta è un gioco da ragazzi se viene regolarmente impiegato un applicativo specialistico.

Tuttavia, misurare le prestazioni di un sistema complesso come quello sanitario non è semplicemente una questione computazionale, di disponibilità di dati. Si è già mostrato sopra come fin dall’impostazione di una funzione obiettivo coerente con la missione dell’istituto di cura il terreno sia sdrucciolevole. E lo continua ad essere lungo tutto il percorso che porta alla disponibilità di un moderno cruscotto sviluppato con un applicativo di Business Intelligence (BI) capace di illustrare agli utenti interni con una adeguata periodicità le principali prestazioni dei processi operativi, abilitando analisi incrociate e stratificazioni.

Impostare un corretto sistema di Key Performance Indicators (KPI) costituisce anzitutto una sfida competitiva, poiché richiede di: identificare le principali variabili e decisioni di business; identificare le grandezze che le possono influenzare; plasmare i processi e le attività, oltre che gli applicativi di supporto, al fine di raccogliere, memorizzare ed elaborare proprio quelle grandezze. I moderni sistemi informativi, corroborati con le tecnologie comunemente note come: internet of things, smart & connected product, etc. sono in grado di raccogliere una quantità immensa di informazioni, ma l’aspetto più rilevante non è di raccogliere tanti dati, ma di raccogliere quelli giusti. Ad esempio, una ASL perdeva completamente la traccia dei materiali sanitari una volta che essi fossero usciti dal magazzino centrale della Farmacia interna: non stupisce che essa fosse regolarmente additata per avere, all’interno della sua Regione, la spesa per materiali sanitari più elevata.

In seconda battuta, impostare un cruscotto di prestazioni adeguato impone una sfida organizzativa, per rendere il sistema di prestazioni raccolte perfettamente coerente con il modello organizzativo adottato all’interno dell’azienda. Nel bene e nel male, la responsabilità di ogni indicatore calcolato deve poter essere attribuibile direttamente ad una ed una sola unità organizzativa o persona: altrimenti tutti ne saranno i papà nel caso positivo, e resterà invece tristemente orfano nel caso più sfortunato. In un ospedale si misurava la scorta totale di farmaci, senza poter distinguere tra quelli giacenti nel magazzino centrale della farmacia e quelli invece giacenti nei reparti. Quando il valore immobilizzato superava la soglia massima impostata dal Direttore Generale, erano all’ordine del giorno le accuse reciproche tra i reparti di cura e la Farmacia riguardo a chi avesse la colpa per il grave misfatto: ma poiché i dati a disposizione erano incompleti, non si poteva risolvere la questione.

Infine, impostare un corretto sistema di KPI rappresenta anche una sfida gestionale. Infatti, non basta disporre dei valori medi di periodo delle grandezze chiave: occorre anche effettuare analisi incrociate e stratificazioni, volte a capire le motivazioni che hanno portato a tali prestazioni, ed eventualmente a rimuovere rapidamente le cause delle prestazioni ritenute insoddisfacenti. Ad esempio, il magazzino di una farmacia ospedaliera sperimentavo una probabilità media di stockout pari al 7%. Tuttavia, non era chiaro se tale probabilità si distribuisse in maniera omogenea tra i diversi articoli nelle varie categorie merceologiche, oppure si concentrasse solo in alcune categorie ed articoli. Inoltre, restava dubbio se essa fosse uniforme nel corso del tempo, oppure evidenziasse segnali di stagionalità, concentrandosi in determinati periodo di picco. Identificare tutti i parametri sensati di stratificazione, ed analizzare le differenze campionarie rilevate segmentando il campione d’analisi attraverso tali criteri diventa quindi una leva essenziale per isolare le sacche di inefficienza o inefficacia, comprenderne le cause, e rimuoverle.

Quindi, per impostare una efficace riduzione di peso, occorre anche sapersi porre degli obiettivi che siano da un lato sufficientemente sfidanti, a dall’altro concretamente raggiungibili; che tengano conto di tutti gli aspetti rilevanti del contesto, quali ad esempio: il livello di attività fisica dell’individuo, gli eventuali vincoli nutrizionali, i gusti organolettici, etc. e che in ultima analisi stimolino verso comportamenti virtuosi e sanzionino quelli viziosi, anziché il contrario.

Competenze: quali famiglie professionali servono nel mondo sanitario?

Abbiamo esaminato una serie di processi ed attività caratteristici delle aziende sanitarie e ne abbiamo colto i numerosi aspetti di analogia con i medesimi processi operativi svolti all’interno delle aziende industriali. In relazione a ciò abbiamo riconosciuto che essi possono essere affrontati con le medesime metodologie, tecniche e strumenti di miglioramento da tempo messi a punto ed impiegati con successo all’interno del corpus disciplinare dell’operations management. Abbiamo visto anche che la capacità di affrontare queste problematiche in maniera esplicita, quantitativa e formalizzata fornirebbe le aziende sanitarie di grandi vantaggi. Tuttavia, speriamo che i punti e gli aspetti discussi in queste pagine abbiano anche stimolato una sana riflessione circa la gamma e la tipologia di competenze necessarie per affrontare il percorso che conduce dall’attuale svolgimento implicito di molti di questi processi ed attività alla loro strutturazione a regola d’arte, compreso il supporto tramite i più moderni applicativi.

La famiglia professionale prevalente all’interno di una azienda ospedaliera è quella delle professioni sanitarie, comprendente il personale medico ed infermieristico di vario tipo. Nelle farmacie ospedaliere sono presenti molto frequentemente anche figure con lauree o diplomi di area chimico-farmaceutica. Queste famiglie professionali, che sono ovviamente essenziali in quasi tutte le attività svolte all’interno di un istituto di cura, mancano però delle competenze minimali necessarie per lo svolgimento dei processi sopra descritti, fatto che a sua volta giustifica il loro tipico svolgimento sotto forma solo implicita, come prima menzionato. È quindi necessario arricchire il patrimonio di competenze disponibili aggiungendo due distinte aree di competenza: le competenze logistiche e quelle digitali.

L’area delle competenze logistiche fa riferimento ad una ben precisa famiglia professionale, quella del Operations Manager, tipicamente riconducibile ad una laurea in Ingegneria Gestionale. Quali sono le caratteristiche distintive di questa area di competenze? È presto detto:

  • Anzitutto, un buon operations managerdeve saper adottare un punto di vista olistico, ed una visione sistemica. Altre figure ingegneristiche e tecniche tendono ad essere più focalizzate su aspetti di dettaglio e ad andare su questi elementi in estrema profondità: il logistico invece è persona da grandi scenari, traguarda un sistema complesso, dei processi end-to-end, e non perde mai di vista quello che gli Americani chiamano il “big picture”. Così, ad esempio, anche quando il suo obiettivo specifico è la pianificazione del magazzino di una Farmacia Ospedaliera, un buon operations manager non dovrebbe perdere mai di vista come tale parte del sistema si inserisca e contribuisca al raggiungimento della missione complessiva dell’istituto di cura cui appartiene, cercando di prendere le decisioni che vanno verso l’ottimizzazione non locale della struttura pianificata, ma generale dell’intero sistema complesso.
  • Ovviamente, deve essere in possesso di eccellenti skillquantitative, che gli permettono di agire, ove possibile, sulla base delle evidenze empiriche ed ottimizzando quantitativamente le grandezze chiave del sistema. Per inciso, è proprio grazie a queste allenate capacità quantitative che il logistico intuisce quali sono le prestazioni chiave da tenere sotto controllo, ed identifica le principali variabili rispetto alle quali effettuare quelle analisi stratificate che gli permettono di navigare nei dati del sistema e di prendere le decisioni corrette per il suo miglioramento.
  • Un terzo requisito necessario all’operations managersarà una solida preparazione sul delicato tema del process management. Saprà quindi analizzare i processi (sia quelli fisici, sia quelli decisionali), scomporli nelle attività elementari costituenti, identificarne i punti critici (ad esempio: i metodi impiegati, le informazioni utilizzate in input, l’esigenza inespressa di un supporto informativo, etc.) ed impostarne il ridisegno, ivi inclusa l’identificazione dei KPI atti a monitorarne l’efficienza ed efficacia nel tempo, oppure gli applicativi indispensabili per migliorarne efficienza ed efficacia.
  • Infine, l’operations managerdeve porsi davanti alle decisioni che è portato a compiere o a supportare, conoscendo bene come valutare il loro bilancio costi-benefici, quale stella polare delle proprie decisioni. Quindi, ogni volta che si trova di fronte ad una nuova decisione, il ragionamento tipico dovrà essere svolto secondo i ben noti passaggi: quali sono i costi differenziali comportati da questa decisione, in quanto discrezionali, futuri ed evitabili? E quali sono i benefici differenziali connessi a questa decisione? E, infine, quale di queste due categorie “pesa” di più?

Il secondo ambito di competenze rilevanti come si diceva è quello delle competenze digitali. A differenza di quelle logistiche, qui non stiamo parlando di un corpus disciplinare coeso, patrimonio tipico di una ben precisa famiglia professionale, ma piuttosto di competenze diffuse che in un contesto crescentemente orientato al 4.0 dovrebbero appartenere a tutti, o quasi, i membri dell’organizzazione. Possiamo citare:

  • la dimestichezza con gli strumenti digitali più diffusi e le relative applicazioni. Tutti i processi sopra descritti prevedono la sostanziale eliminazione dei supporti cartacei, ormai da tempo obsoleti, difficili da archiviare, impossibili da condividere e portatori di numerose attività aggiuntive di trascrizione, con annessi errori; sarà quindi imprescindibile la capacità di utilizzo dei principali device fissi e mobili, sfruttando i sistemi cloud e gli strumenti di condivisione.
  • La flessibilità e l’adattamento a strumenti di diversa tipologia sono altre competenze essenziali. Quanto spesso può cambiare, o per lo meno aggiornarsi, l’applicazione per la gestione della posta elettronica? L’introduzione di un magazzino automatico comporterà un nuovo software e una nuova interfaccia di utilizzo mai vista fino al giorno precedente. E così via. Non ha senso quindi elencare le applicazioni che è necessario conoscere, ma piuttosto essere predisposti ad apprenderne sempre di nuove.
  • La gestione dei dati è senza dubbio il tema centrale di qualsiasi trasformazione digitale, in quanto impatta in modo significativo su tutti i processi digitalizzati, determinandone in modo insindacabile l’efficacia e l’efficienza; costituendone strumento irrinunciabile di controllo, etc. Va quindi ricercata la cultura del dato, che deve essere gestito in tutto il suo ciclo di vita affinché sia sempre aggiornato, con l’obiettivo di produrre informazioni e conoscenza, supportando il data driven decision making.
  • Infine, è importante anche la comprensione delle funzionalità e dei vantaggi dell’automazione, (cfr. figura 9), visto il ruolo preponderante che sta assumendo anche nei processi sanitari. Ad esempio, la cartella clinica digitale, aggiornata in real time con i consumi di farmaci somministrati al paziente, sfruttando un braccialetto elettronico; oppure i sistemi robotizzati di distribuzione dei farmaci ai reparti. Queste innovazioni possono essere ricomprese in tutti i progetti delle operations sanitarie, e non potrà quindi essere un nostalgico del “fai da te”, ma un know-how professionale e sviluppato a guidarne la scelta e l’adozione.

EmpowerCare, iniziativa sviluppata dalla practice Healthcare Innovation di P4I, è un ecosistema di servizi nati per risolvere le criticità che la pandemia ha fatto emergere e non più rimandabili. È un percorso a supporto di tutti gli attori del Sistema Sanitario Nazionale, sia a livello centrale che a livello territoriale, sia per la contingente fase emergenziale che a supporto della fase post-emergenza e dell’evoluzione strategica della sanità, con interventi a livelli crescenti di complessità e impatto organizzativo.

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Per ripercorrere tutte le tappe del ciclo sulle operations in ambito sanitario

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