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Lavoro e robot: in Italia i “senior” più a rischio

I dati del rapporto Aging & Automation di Mercer e Oliver Wyman: nei prossimi 10 anni Industria 4.0 potrebbe tagliare fuori dal mercato gli addetti meno qualificati tra i 50 e i 64 anni. 7,1 milioni le posizioni che spariranno a livello globale. Giovanni Viani: “Servono soluzioni di tutorship generazionale”

Pubblicato il 02 Ott 2018

servitizzazione

L’Italia è nelle prime posizioni della classifica dei paesi in cui i lavoratori più anziani rischiano di perdere il posto di lavoro a causa dell’automazione e delle innovazioni introdotte da Industria 4.0. E’ quanto emerge dal report “The twin Threats of aging and automation”, realizzato da Mercer e Oliver Wyman.

La ricerca è focalizzata sulla convergenza di due fenomeni e sui suoi effetti sul mondo del lavoro: da una parte il progressivo invecchiamento della popolazione globale, e dall’altra una spinta più decisa verso l’automazione, con i robot destinati a sostituire molti dei labori meno qualificati soprattutto nel manifatturiero. Gli effetti sulla popolazione tra i 50 e i 64 anni rischi di essere pesante: tra il 2015 e il 2020, infatti, secondo le stime più recenti, circa 7,1 milioni di posti di lavoro scompariranno a livello globale, la maggior parte dei quali tra le funzioni amministrative, il settore manifatturiero e i processi produttivi, mentre saranno creati soltanto 2 milioni di nuovi posti di lavoro, soprattutto nel campo delle operazioni finanziarie, del management e dell’ingegneria. “Questo significa che le nazioni con un maggior numero di lavoratori anziani impiegati in attività manuali, ripetitive e non specialistiche – spiegano i ricercatori – si troveranno ad avere il maggior numero di occupazioni automatizzabili. Proprio in questi Paesi i lavoratori anziani saranno chiamati a fare evolvere rapidamente le proprie competenze per restare all’interno del mercato del lavoro”.

Dallo studio emerge che in Europa il paese più esposto a questo rischio è l’Italia, con il 58% in media di lavoratori anziani che svolgono lavori facilmente automatizzabili, in un contesto in cui il numero degli over 50 è in costante aumento e rappresenterà il 38% della forza lavoro già nel 2030.

Quanto alla classifica Globale, ai primi posti compaiono i Paesi asiatici, nell’ordine Cina, Vietnam, Tailandia, Corea del Sud e Giappone. Poi l’Italia e la Germania.

Lo studio prende in considerazione 15 Paesi e analizza la popolazione attiva nelle diverse classi di età, il tipo di occupazione, oltre al rischio-automazione calcolato per ruolo, utilizzando i dati provenienti da diverse fonti, tra cui dati Mercer, Oliver Wyman, World Economic Forum, Nazioni Unite, Oecd.

“Gli sforzi concertati da parte di governi e aziende per elaborare strategie volte a incoraggiare e accogliere il lavoratore più anziano, saranno cruciali nei prossimi decenni – afferma Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia – I lavoratori più anziani sono una fonte preziosa di esperienza, produttività e anche di flessibilità. Anche nei loro confronti quindi suggeriamo alle aziende di dirigere gli investimenti mano a mano che la tecnologia spinge le aziende ad evolvere. Con questo report auspichiamo di avviare una conversazione sui rischi che i lavoratori più anziani affrontano in questa epoca di automazione e, soprattutto, su come superarli. Dal nostro punto di vista la parola chiave che aziende e istituzioni devono tenere al centro delle loro considerazioni è: ‘competenze”.

“La popolazione over 50 è passata dal 17 a più del 30% del totale globale dagli anni ’70 ad oggi – aggiunge Giovanni Viani,  responsabile del Sud-Est Europa di Oliver Wyman– In parallelo le nuove tecnologie stanno cambiando in maniera radicale la domanda di lavoro, mettendo in crisi in particolare la fascia più anziana e a minor educazione. Per evitare squilibri profondi nella società e nella produzione di reddito e mantenere una sostenibilità complessiva dei sistemi previdenziali sono necessarie politiche molto lungimiranti in termini di valorizzazione delle classi più anziane, formazione continua lungo tutta la carriera professionale, allargamento della platea dei lavoratori giovani, soluzioni di “tutorship generazionale” finalizzate a valorizzare il contributo dei più anziani nell’accelerazione dell’inserimento professionale dei più giovani”.

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