Il report

Lotta al climate change, ecco perché gli obiettivi 2050 sono sempre più lontani

I dati del World Energy Markets Observatory 2019 di Capgemini: lotta al cambiamento climatico a rischio per via dell’incremento globale della domanda di energia, tensioni geopolitiche, e dipendenza dal carbone dei giganti Cina e India. Tecnologie e digitale potrebbero essere la chiave per “rivoluzionare” il settore

Pubblicato il 07 Nov 2019

energia sostenibile

Raggiungere gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico fissati dall’accordo di Parigi per il 2050 è progressivamente più difficile man mano che passa il tempo e che cresce il fabbisogno globale di energia insieme alle emissioni di gas serra. A evidenziarlo è la ventunesima edizione del World energy markets observatory (Wemo) realizzato da Capgemini in collaborazione con De Pardieu Brocas Maffei e Vaasa Ett. 

La preoccupazione resta alta nonostante il fatto che le fonti da energie rinnovabili stiano progressivamente crescendo e il loro costo stia contemporaneamente diminuendo: questa dinamica no è infatti ancora riuscita a scalfire la predominanza di carbone, petrolio e gas. A minacciare la transizione energetica, emerge dallo studio, sono inoltre le tensioni geopolitiche e commerciali che si verificano su scala internazionale e il calo degli investimenti in energia pulita. A invertire queste preoccupante tendenza potrebbero essere, secondo la ricerca, il digitale e le tecnologie più avanzate, che però non sarebbero destinate a cambiare radicalmente il settore prima del 2040.  

Aumentano i Gas serra

Le emissioni continuano ad aumentare nonostante gli sforzi per limitarle: nel 2018 hanno registrato un + 2% (nel 2017 la crescita era stata dell’1,6%). Le emissioni di gas serra – emerge della ricerca –  sono aumentate del 2,3% in Cina, del 3,4% negli Stati Uniti e del 6,4% in India. Questi incrementi sono stati trainati dal boom del consumo energetico, che nel 2018 è cresciuto del 2,3% a livello globale, quasi il doppio del tasso di crescita medio annuale riportato dal 2010. Quasi il 75% di questo incremento – la percentuale più alta dal 2013 – è dovuto al consumo di petrolio, gas e carbone. A livello mondiale è stato registrato un aumento del 4% nel consumo di carbone, con una crescita significativa della produzione di energia da esso generata.

La crescita delle energie rinnovabili

Le rinnovabili sono la fonte energetica in più rapida crescita su scala planetaria, con un +14,5% nel 2018, e costano sempre mano: i prezzi sono infatti calati del 13% nel fotovoltaico e nell’eolico onshore, mentre il prezzo dell’energia eolica offshore è sceso dell’1%.  ”Si sta tuttavia assistendo a un calo degli investimenti in energia pulita – sottolinea Capgemini – che nella prima metà del 2019 si sono attestati a 217,6 miliardi di dollari, il 14% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. La diminuzione è stata particolarmente drastica in Cina (-39%), mentre negli Stati Uniti e in Europa è stata più moderata (rispettivamente del 6% e del 4%). In India, invece, gli investimenti sono aumentati del 10%, raggiungendo i 5,9 miliardi di dollari.

Il ruolo del digitale

Secondo i risultati del report entro il 2040, tecnologia e digitale saranno i protagonisti di una profonda trasformazione, contribuendo alla diminuzione dei costi delle energie rinnovabili, mentre i soft costs, quindi le spese di architettura, ingegneria, finanziamento e legali e altre spese pre e post costruzione, insieme ai costi di intermittenza e distribuzione dell’energia, rappresentano un ostacolo alla piena competitività di queste tecnologie rispetto alla maggior parte delle fonti di produzione di energia elettrica programmabili. La conseguenza è che non ci si aspetta l’industrializzazione di innovazioni tecniche in campo energetico prima del 2040, ma il miglioramento delle tecnologie esistenti continuerà a portare a una riduzione nei costi per rinnovabili, batterie elettriche, veicoli elettrici e reattori nucleari modulari di piccole dimensioni. L’idrogeno per stoccaggio e mobilità, così come la superconduttività, dovrebbero inoltre essere in fase di sviluppo ed è anche cresciuto il numero di centrali di produzione di energie rinnovabili ibride. 

“La quota variabile nella produzione di energia rinnovabile dovrebbe aumentare grazie a tecnologie digitali come sensori, oggetti connessi, strumenti per la raccolta di dati, intelligenza artificiale, smart grid diffuse su larga scala e demand-response, migliorando le previsioni e l’efficienza operativa – afferma Marco Perovani, Energy and Utilities Director, Capgemini Business Unit Italy – L’unione di tecnologie digitali e di settore rende i confini di separazione tra i player sempre meno netti e ogni mese assistiamo all’ingresso di nuovi attori sul mercato, fattore che sta spingendo gli operatori tradizionali a reinventarsi e proporre nuovi modelli di business attraverso ecosistemi”.

Il ruolo dell’Europa

Il vecchio continente, guidato dalla Germania (dove la domanda si è ridotta del 2,2%) sta dimostrando di guidare il gruppo di chi cerca efficacia nella lotta al climate change e nell’attuazione della transizione energetica, grazie a una crescita della domanda energetica inferiore al resto del mondo, (+0,2% rispetto al +2.3% globale). L’area Ue così è in corsa per centrare due dei tre obiettivi fissati dall’accordo di Parigi per il 2050: 

ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto al 1990 e garantire che le energie rinnovabili rappresentino almeno il 20% del consumo energetico. “I governi nazionali . spiega Capgemini – hanno recentemente confermato i piani di riduzione delle emissioni di carbonio, con la Francia che intende cessare la produzione di energia elettrica proveniente dal carbone entro il 2022 e produrre il 50% dell’elettricità da fonte nucleare entro il 2035. La Germania, invece, vuole eliminare completamente tutte le centrali a carbone – che l’anno scorso rappresentavano il 37% della produzione di elettricità del paese – entro il 2038. Sembra tuttavia difficile il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2030 e per gli anni successivi”.

Le tensioni geopolitiche

Sia Stati Uniti che Cina hanno sfruttato la crescente posizione dominante sul mercato dell’energia a loro vantaggio nelle questioni geopolitiche, sottolinea il report di Capgemini. La crescita della produzione di shale ha permesso agli Stati Uniti di non essere più dipendenti dal Medio Oriente: entro il 2025 si prevede che questo combustibile rappresenterà oltre la metà della crescita globale nella produzione di petrolio e gas (rispettivamente 75% e 40%). Questa nuova indipendenza per quanto riguarda il greggio ha permesso all’amministrazione di inasprire i rapporti con alcuni paesi dell’Opec, come Iran e Venezuela. La Cina, invece, produce il 95% dei metalli rari necessari per accelerare la transizione energetica, un grande vantaggio strategico per il paese.

Il ruolo di Cina e India

I due giganti asiatici hanno in questo quadro generale due posizioni diverse: la Cina ha consolidato la sua posizione di leadership come uno dei principali mercati sviluppati, dove l’energia viene fornita a tutti gli abitanti grazie allo sviluppo di centrali a carbone, una quota del 70% sul mercato mondiale, e alla capacità delle batterie installate (61%). La Cina è leader nella fornitura della maggior parte delle tecnologie correlate (ad esempio per quanto riguarda i combustibili fossili, le energie rinnovabili e lo stoccaggio, 7 dei 10 maggiori fornitori mondiali di apparecchiature sono cinesi). Mentre i pannelli solari cinesi a basso costo si stanno diffondendo, il report evidenzia che la Cina potrebbe in futuro diventare anche un leader nella tecnologia nucleare, con due EPR (reattori nucleari ad acqua pressurizzata) già connessi con successo alla rete. La Cina si occupa inoltre della fornitura del 95% della domanda globale di metalli rari, utilizzati in applicazioni high tech.

Quanto all’India, si concentra maggiormente su come fornire l’elettricità a tutti i suoi abitanti. Ma entrambi i paesi saranno fortemente dipendenti dalle centrali a carbone per almeno altri due decenni e resteranno grandi produttori di CO2.

La ricetta per invertire la tendenza

Il report fissa alcuni punti fondamentali per arrivare a centrare gli obiettivi dell’accordi di Parigi, sottolineando che “per creare un impatto significativo, i governi devono andare oltre le misure di transizione energetica già in vigore”. 

Tra queste aumentare i prezzi del carbone in modo da stimolare investimenti in fonti di energia carbon-free, incrementare l’uso e la dipendenza da energie rinnovabili, sviluppare infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici, aumentare i finanziamenti per sviluppare soluzioni per la cattura, l’uso e lo stoccaggio del carbonio, promuovere tecnologie pulite per la combustione del carbone nelle centrali elettriche, dedicare il 100% del gettito delle imposte ambientali a progetti di transizione energetica (dall’attuale livello inferiore al 50%), avviare la ristrutturazione degli edifici per renderli più efficienti dal punto di vista energetico, promuovere la collaborazione tra istituzioni pubbliche e finanziarie per il raggiungimento degli obiettivi, avviare programmi che favoriscano il cambiamento dei comportamenti dei singoli individui. 

Perovani: “Serve più coraggio dalla politica”

“I dati del report sono un campanello d’allarme per il mondo intero – conclude Perovani – Con l’aumento della domanda globale di energia e il consumo di combustibili fossili, gli obiettivi dell’accordo di Parigi sembrano più lontani che mai. Va sottolineato il fatto che stiamo assistendo a questi trend abbastanza preoccupanti anche se le fonti di energia rinnovabile diventano sempre più accessibili e predominanti. Nel breve termine abbiamo bisogno di misure e politiche più coraggiose al fine di ridurre le emissioni ed evitare di allontanarci sempre di più dagli obiettivi dell’accordo di Parigi, a cominciare dall’impegno che ogni dollaro raccolto dalle tasse ambientali andrà a favore di progetti di transizione energetica”.

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