Industria 4.0

Manifatturiero e PMI: competenze, cloud e sicurezza tra le priorità per competere

In occasione della fiera A&T Automation & Testing di Torino arrivano i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano: cresce la consapevolezza verso l’innovazione digitale, ma le piccole e medie imprese devono fare di più per tenere il passo con la competizione internazionale

Pubblicato il 14 Feb 2020

A&T TORINO 2020

Se le PMI italiane riescono ad essere comunque competitive anche in presenza di un livello di digitalizzazione basso, quali (grandi) potenzialità si potrebbero aprire a fronte di un vero e sano processo di digitalizzazione? In questa domanda si racchiude, il senso di un dibattito che, in occasione di A&T Automation & Testing, la fiera che ha riunito a Torino oltre 400 espositori focalizzati sull’innovazione e sulle tecnologie industriali, ha voluto fare il punto sulle prospettive dell’innovazione per il manifatturiero. Una grande potenzialità unita a una ancor più grande resilienza capace di affrontare continue prove di “forza” del mercato, ma anche lentezza e paura ad affrontare la sfida del digitale. E’ così che nel capoluogo piemontese i temi dell’innovazione tecnologica per il manifatturiero si sono intrecciati, come è sempre in modo sempre più forte con i temi dell’innovazione digitale.

Visitando gli stand della manifestazione è apparso peraltro chiaro quanto e come il digitale sia presente, non solo come parte integrante dei sistemi di produzione del manifatturiero, ma anche come abbia permesso di realizzare alternative ai modelli di produzione tradizionali e alternative al concetto di prodotto tradizionale. Vedere tanto digitale, o vedere sistemi di produzione ripensati in modo così profondo grazie al digitale, è il segnale più importante che le possibilità di percorrere velocemente questa strada ci sono tutte. E’ una questione, come vedremo, di decisioni, di investimenti, di ecosistemi e, più di tutto, di competenze.

PMI del manifatturiero: consapevoli ma lente nella scelta del digitale

Luciano Malgaroli, CEO A&T

Le possibilità del digitale sono tante e, altro messaggio chiave, le risorse economiche per affrontare questi investimenti non sono il primo degli ostacoli in questo processo, quanto la necessità di disporre di competenze, sia a livello di imprese sia a livello di ecosistemi e di filiere. Ovvero: il digitale è indispensabile alla competitività ma è efficace nella misura in cui l’ecosistema delle risorse umane è grado di “farlo funzionare”. Non è più sufficiente far leva su alcune grandi eccellenze .

Luciano Malgaroli, Ceo di A&T sostiene che non manca certo l’attenzione e la consapevolezza tanto che dal punto di osservazione della Fiera oltre 70% delle PMI italiane è consapevole della necessità di investire nel digitale e nell’innovazione in generale. Consapevolezza e sensibilità che però fa molta fatica a trasformarsi in realtà come purtroppo emerge dai dati che l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano ha presentato nell’apertura di A&T.

Giorgia Sali, Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI

Giorgia Sali, ricercatore senior dell’Osservatorio da una parte conferma che l’attenzione non manca tanto che su un campione di 1500 aziende rappresentativo di 200 mila PMI l’88% dichiara nel 2019 che l’innovazione digitale è certamente necessaria allo sviluppo del business. Ma se si passa dalle intenzioni ai fatti si vede che la percentuale scende drammaticamente al 26% non momento in cui si tasta il polso alla maturità digitale necessaria per affrontare la competizione a livello globale. E alla prima e naturale domanda su quali sono le intenzioni per il 2020, la risposta non è incoraggiante. Dalla ricerca emerge che le previsioni di investimento in digitale sono stabili se non addirittura in flessione quando le aspettative e le necessità per affrontare la concorrenza richiederebbero ben altro atteggiamento.

Quali sono le ragioni di questa fatica per il tessuto delle imprese italiane nel conseguire una più solida maturità digitale? Certamente, come spiega Giorga Sali, c’è un tema dimensionale che in questo momento non sta aiutando: il modello 4.0 non ha ancora convinto le imprese produttive che stanno nella fascia tra i 10 e i 249 dipendenti e questo ritardo si traduce in un atteggiamento apparentemente contradditorio: 9 imprenditori su 10 considerano il 4.0 importante per la loro azienda, ma solo il 26% delle PMI conta su tecnologie e processi produttivi digitalizzati.

Piccole e medie imprese, forti nella manifattura ma deboli nelle competenze digitali

Tornando alla domanda sul “perché” di questa situazione, le risposte, oltre al tema legato alle piccole dimensioni delle imprese, stanno nel timore ad allungare lo sguardo in avanti in un ritorno degli investimenti nel medio lungo periodo e – aggiungiamo – il digitale fa fatica a dare risposte nel breve, soprattutto se non arriva in azienda accompagnato dalle giuste competenze. Ed è proprio quello degli skill il freno che, nel 24% dei casi non sta favorendo lo sviluppo del digitale. In questo senso ad A&T sono arrivati richiami per ripensare i percorsi di formazione, per rafforzare i progetti che stanno contribuendo ad avvicinare il mondo della scuola a quello delle imprese. Ma il Rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco sottolinea che deve cambiare anche il profilo delle competenze: da un ingegnere con una forte specializzazione tecnica occorre pensare a percorsi formativi in grado di portare nelle aziende ingegneri con una maggiore vocazione alla creatività. Su questo tema Alessandra Santacroce, Government and Regulatory Affairs Executive IBM e Presidente Fondazione IBM Italia ha ricordato che il digitale porta valore, in particolare oggi in larga misura grazie al Cloud, nel momento in cui permette alle imprese di trasformare una visione di valore, di vantaggio competitivo, in prodotti e servizi. Con la massima attenzione al tema della velocità perché – aggiunge – lo sviluppo delle competenze deve tenere in considerazione anche la velocità di innovazione delle tecnologie e oggi per un’azienda rischia di essere più difficile recuperare un eventuale skill-gap.

Mance nelle PMI una chiara percezione e conoscenza dei costi dell’innovazione

Proseguendo nell’analisi delle difficoltà che ostacolano la diffusione dell’innovazione digitale nelle PMI l’altro freno sul quale si può intervenire con tempi di reazione più veloci è quello della percezione dei costi dei servizi digitali che le imprese considerano troppo alti nel 27% dei casi. Lo scarso supporto delle istituzioni completa il quadro della situazione con l’11% dei casi. E anche si può fare di più e subito a livello di diffusione della conoscenza per colmare la lacuna informativa che spinge addirittura il 68% del campione nel centro Sud a confessare di non essere aggiornato sui voucher consulenza in innovazione promossi dal MISE e più in generale a non avere una adeguata conoscenza delle guide agli incentivi del Piano Industria 4.0 o meglio ancora del Piano Trasformazione 4.0. Sul piano territoriale va meglio al Nord-Ovest, dove la concentrazione di PMI supera il 30% e dove la maturità digitale è aiutata da una maggiore diffusione di sistemi gestionali e di soluzioni IoT. Ma osservando al tema nel suo complesso balza all’occhio che nel 13% l’innovazione si deve confrontare con organizzazioni dove non è presente una figura dedicata a ICT e digital, mentre nel 32% delle aziende non sono state prese decisioni in merito ai temi della cybersecurity e, come ampiamente descritto in questo servizio Information security a 1,3 Mld in Italia , la sicurezza digitale nel manifatturiero deve diventare al più presto una priorità.

Premiare la diffusione di cultura e innovazione e “tassare l’ignoranza”

C’è poi un tema di sistema che deve favorire l’investimento in conoscenza e la conoscenza a livello di investimenti. Il tema è sollevato da Carlo Alberto Carnevale Maffè, Professore di Strategia alla Bocconi University School of Management. L’introduzione di competenze nuove, o ancora meglio adeguate deve tener conto dell’innovazione tecnologica, dei cambiamenti che introduce a livello di processi e di prodotti e anche della capacità di gestire il cambiamento di scenario che queste innovazioni portano sul mercato. Carnevalè Maffè afferma provocatoriamente che non si deve pensare di tassare la plastica quanto di tassare l’ignoranza, ovvero di premiare tutti coloro che investono in conoscenza e che con questi investimenti ne favoriscono la diffusione a livello di sistema. Il tema non attiene solo al successo di una azienda ma alla capacità di trasformazione di interi settori o di interi territori. L’avvento la diffusione di nuovi modelli di business legati alla connettività e all’intelligenza dei prodotti cambia in modo radicale il rapporto tra i prodotti e consumatori e introduce elementi di innovazione sul piano sociale e sul piano dei comportamenti che possono essere minacce o opportunità e che chiedono competenze adeguate per essere gestite.

Nel manifatturiero si sente la mancanza di una figura di responsabilità per l’innovazione digitale

Ultima risposta in ordine cronologico nella identificazione del ritardo nella diffusione del digitale nelle PMI, ma prima come priorità come abbiamo ampiamente già potuto vedere: le competenze! Nel 44% il digitale è affidato all’IT che però oltre ad essere primariamente dedicato alle problematiche dell’IT in senso stretto e alla loro manutenzione quando l’innovazione specifica per il manifatturiero presuppone un modello collaborativo tra innovazione digitale e innovazione OT. Nel 20% delle aziende questo ruolo è svolto dagli innovation manager che si occupano sia dell’innovazione di processo sia dell’innovazione digitale che insiste sui prodotti (pensiamo a quante categorie di prodotti manifatturieri sono diventati o stanno diventando in buona misura degli smart product o dei connected product. In un altro 18% delle PMI sono cresciute delle figure dedicate a specifici ambiti del digitale e si trovano competenze e responsabilità per la parte di e-Commerce, per la sicurezza o in altri casi per la data Science. In questi casi, sottolinea Sali il tema è nel coordinamento di queste competenze, ovvero nella capacità di metterle a valore nell’ambito di un disegno coordinato di tutte le progettualità nelle quali si articola l’impegno sul digitale. In questi casi non è la mancanza di competenze il freno quanto la mancanza di un disegno e di una organizzazione dedicata allo sviluppo dell’innovazione digitale nel suo complesso. La “polverizzazione” delle competenze presenti in azienda è per queste realtà un altro punto di debolezza che forse più di tutto sottrae energie alla possibilità di una trasformazione digitale di più ampio respiro e a limita alla ricerca di efficienza o di innovazione “a silos” su specifiche aree o processi. Per questo è stato più volte richiamata la necessità di un ripensamento organizzativo delle imprese che non possono limitarsi a innovare le macchine o ad aumentare la quota di digitale. Serve un ripensamento ampio e profondo della catena del valore e serve riuscire a farlo a livello di filiere e di ecosistemi.

Sono ancora poche le aziende manifatturiere che conoscono i temi dell’IoT per l’Industria 4.0

In un mondo come quello della produzione, destinato a confrontarsi in modo sempre più urgente con le opportunità (o con le minacce quando arrivano dalla concorrenza) dei prodotti connessi, degli smart product o dei prodotti che abilitano modelli di business in forma di servitizzazione appare particolarmente preoccupante il dato che segnala come il 61% dei piccoli imprenditori non abbia una conoscenza del mondo Internet of Things per l’Industria 4.0. E se la ragione addotta è nella difficoltà nel valutare i vantaggi di investimenti destinati a queste forme di innovazione il rischio è duplice. Certamente non è facile misurare i possibili vantaggi ed è difficile soppesare la disponibilità delle aziende clienti, magari imprese del machine building, a seguire questi percorsi di innovazione, ma è altrettanto certo che il processo è iniziato e che il vantaggio lo acquisisce chi oggi fa investimenti, PoC o magari anche sperimentazioni assieme con i propri clienti.

Il ruolo determinante del cloud per le PMI

Davanti a questo profilo di aziende e a questo approccio che ruolo può svolgere il Cloud? Se i temi sono quelli dei costi, dell’accessibilità, della scalabilità allora il Cloud può rispondere in modo nuovo a questa domanda. Certamente si e per quanto i numeri siano in crescita ci sono ancora tante PMI che “stanno a guardare”. Il rischio dell’attesa è sempre più alto, soprattutto in un mercato in continua evoluzione e con la competizione di altri paesi che si fa sentire in modo sempre più marcato.  Solo il 30% delle PMI, ci dice la ricerca presentata ad A&T utilizza le soluzioni Cloud. E ancora una volta l’attenzione corre alla individuazione dei freni che ostacolano questa diffusione. Giorgia Sali parla anche di competenze, di una resistenza culturale che poi si esprime in preoccupazioni legate alla sicurezza dei dati e delle applicazioni. Non si può non aggiungere, come più volte emerso nel corso del dibattito, che questa preoccupazione è prima di tutto figlia di pregiudizi che portano a riporre maggiore fiducia in un’applicazione che gira su un server collocato “sotto alla scrivania” rispetto a un’applicazione in cloud, ma più ancora, rispetto a questo aspetto c’è un tema di governance delle tematiche della sicurezza nel mondo manifatturiero che, in ragione della necessità dell’OT di aprirsi al digitale, impongono di accelerare l’integrazione tra questi due domini, magari proprio facendo leva sulla comune necessità di garantire prima di tutto la sicurezza del business.

Per misurare la produttività nel manifatturiero servono metriche nuove

C’è poi un punto che viene richiamato sempre da Carlo Alberto Carnevale Maffè e che invita tutti coloro che sono coinvolti in questa grande sfida sulla trasformazione digitale del manifatturiero a fare innovazione anche sulla governance complessiva di questo fenomeno. Carnevale Maffè sostiene che non si può misurare il valore di imprese che affrontano un mercato sul piano di prodotti servizi, processi ripensati e basati sul digitale con metriche che sono nate per il mondo analogico tradizionale. Il cloud stesso è un simbolo di come la metrica dell’investimento, dell’accessibilità, del valore sia completamente diversa da quella di un investimento IT che deve sostenere un data center aziendale. Così come la logica della quantità di prodotti realizzati e venduti, nel momento in cui ci sono mercati in cui il prodotto non si vende più ma lo si “usa” per erogare un servizio e dove questo servizio è basato sulla conoscenza precisa e approfondita di come quel prodotto viene usato e del comportamento e delle esigenze delle persone e dei sistemi nei quali è collocato. Forse, da una metrica di quantità, di unità di prodotto, occorre passare a una metrica che sappia rappresentare la produttività della conoscenza con cui le imprese creano soddisfazione presso i loro clienti. 

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Mauro Bellini
Mauro Bellini

Ha seguito la ideazione e il lancio di ESG360 e Agrifood.Tech di cui è attualmente Direttore Responsabile. Si occupa di innovazione digitale, di sostenibilità, ESG e agrifood e dei temi legati alla trasformazione industriale, energetica e sociale.

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