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Data Monetization, dall’analisi dei dati a nuovi modelli di business

Oggi tutte le aziende raccolgono innumerevoli dati, che in molti casi possono essere trasformati in fonte di reddito, ma per dare vita a forme di data monetization efficaci occorre anche dare vita a modelli di business altrettanto efficaci. Da Sergio Fraccon, Managing director di Horsa Insight (l’anima Data & Analytics di Horsa), una serie di indicazioni su come trarre vantaggio da queste prospettive

Pubblicato il 07 Nov 2022

Immagine da Shutterstock

Come elemento centrale del modello di business, la digitalizzazione porta con sé la necessità di produrre e consumare sempre più dati. Va da sé, quindi, che sia in continua crescita il numero di aziende che usano i dati e gli analytics per generare profitti. E la data monetization è uno degli strumenti usati per ottenere tali profitti.

I dati stanno cambiando la competizione industriale

In un’indagine svolta a livello globale, McKinsey ha riscontrato che sono molte le aziende che stanno aggiungendo nuovi servizi alle offerte esistenti, sviluppando nuovi modelli di business e vendendo prodotti o servizi data-based.

Questo trend sta cambiando la natura della competizione industriale. Il 70% degli intervistati da McKinsey riferisce che negli ultimi anni i dati e gli analytics hanno provocato mutamenti nel panorama competitivo dei loro settori. Il cambiamento più comune, citato dalla metà del campione, è rappresentato dal lancio di nuove attività incentrate sui dati che mettono in crisi i modelli di business tradizionali. Gli intervistati segnalano che i cambiamenti più significativi stanno avvenendo nei settori dell’alta tecnologia, dei media e delle telecomunicazioni, dei beni di consumo e della vendita al dettaglio.

La maggior parte degli intervistati concorda sul fatto che l’obiettivo principale delle loro attività di dati e analytics è generare nuove entrate, indipendentemente dal settore in cui un’impresa opera. E tra le aziende che hanno avviato la data monetization, la maggioranza dichiara di aver iniziato a farlo solo negli ultimi due anni e in più modi: aggiungendo nuovi servizi alle offerte esistenti, sviluppando modelli di business completamente nuovi e collaborando con aziende di settori correlati per creare pool di dati condivisi.

Il business basato sui dati

“Non devono stupire i risultati ottenuti dall’indagine di McKinsey – afferma Fraccon, perché, rispetto a qualche anno fa, parlare di data monetization ha assunto un senso concreto. Infatti, oggi qualsiasi azienda raccoglie e produce quotidianamente una grande quantità di dati. E su questi dati può pensare di fare del business, in modo diretto o indiretto”.

Va precisato che quando si parla di data monetization si fa riferimento all’utilizzo dei dati per ottenere benefici economicamente quantificabili attraverso sia un’attività interna sia esterna, in modo diretto (vendita di dati, nel rispetto delle normative vigenti) o indiretto (fornitura di servizi).

“La quantità delle fonti dei dati a disposizione per trarre valore attraverso la vendita, lo scambio e la condivisione dei dati – aggiunge Fraccon – non è un tema tipico solo delle aziende che per definizione sono data intensive, cioè nate già digitali come chi offre servizi online, ma anche di realtà che hanno attività differenti e quindi potrebbero sfruttare la data monetization per dar vita a nuove opportunità di business”.

Come fare la data monetization

Come detto, ci sono diverse modalità per ottenere una monetizzazione dell’asset dato, ovvero differenti modalità che permettono di utilizzare i dati per finalità economicamente rilevanti e quantificabili. La prima forma di data monetization, forse la più diffusa, si ottiene usando i dati per ottenere l’ottimizzazione di processi. Per esempio, un forecast che migliora il processo di approvvigionamento e vendita consente in qualche misura di ottimizzare tutto il flusso logistico e quindi di ridurre i costi: indirettamente si monetizza quel tipo di dato ottenuto dall’operatività.

Esistono poi casi di utilizzo dei dati per ottenere la data monetization dall’esterno dell’azienda. In questi casi, si può fare una suddivisione in due macrocategorie. La prima consiste nel trasformare i dati in servizi. Per esempio, si può avere l’estensione del valore di un prodotto attraverso l’uso dei dati relativi a come è utilizzato tale prodotto. In questo modo si può fornire un servizio aggiuntivo rispetto al core business, ovvero alla vendita del prodotto.

La seconda categoria riguarda invece la vendita dei dati. In questo caso sono i dati stessi a essere oggetto del business e possono creare un valore diretto. Un caso classico sono i business digitali ad alta intensità, in cui si raccolgono numerosi dati sui clienti e che possono essere utili ad altre aziende per vendere servizi agli stessi clienti. Questo avviene tipicamente per le Telco che vendono i dati ad altre aziende, come accade, per esempio, a favore del retail nell’utilizzare i dati di movimento delle persone per conoscere meglio il proprio target o potenziale. Ovviamente i dati venduti sono quelli concessi rispettando le normative sulla privacy

I marketplace dei dati

Alle due categorie citate si aggiunge uno scenario di data monetization. È il data sharing, cioè la condivisione di dati fra aziende. “Non è una novità, si faceva già svariati anni fa – sottolinea Fraccon –, ma ora ci sono tecnologie molto più abilitanti che facilitano la nascita di veri e propri marketplace. Per cui un’azienda mette a disposizione di altre aziende dei dati che possono essere acquistati. L’esempio classico si ha quando un produttore fornisce a un distributore alcune informazioni che possono essere utilizzate per trarre vantaggio dalla conoscenza del potenziale indirizzo di consumo dei clienti finali. All’interno del data sharing può rientrare anche la condivisione dei dati in uno scenario di supply chain estesa: anche questo è data monetization”.

Un formato universale

Nel caso della vendita dei dati, è necessario che chi li acquista abbia la capacità di utilizzarli e verosimilmente anche di integrarli con i propri dati. “Questo è un aspetto per nulla banale – precisa Fraccon –. Al contrario, infatti, di quanto accade in mercati più maturi, come quelli anglosassoni, in Italia sempre più spesso chi vende i dati si attrezza con un servizio a supporto in modo di poter anche spiegare come meglio utilizzarli o addirittura di aiutare il cliente a integrarli all’interno dei propri dataset”.

Diretta conseguenza è che avviene più di frequente la data monetization indiretta. Ovvero, non vengono venduti data set così come sono, ma servizi generati dall’analisi di tali dati. Nasce perciò un supporto, una nuova linea di business legata a un prodotto. Questo vale per le realtà di tutte e dimensioni.

“Rispetto a qualche anno fa – sostiene Fraccon –, oggi le aziende capiscono che ci sono delle potenzialità nello sfruttamento dei dati, perciò, sempre più spesso viene inserita nei piani strategici delle aziende uno specifico capitolo di progettualità e iniziative destinato alla valorizzazione del dato o, nei business più maturi, il dato stesso come opportunità per la creazione di una nuova voce di ricavo. Però è sempre necessario l’intervento di partner che supportino le aziende nelle strategie e che le sappiano guidare nella raccolta dei dati, considerando anche tutte le implicazioni di tipo normativo”.

Come creare un modello di business

“Se si parte dal presupposto che si vuole vendere un dato per guadagnare direttamente da quel dato difficilmente si raggiunge l’obiettivo” – ammonisce Fraccon. “Il modo corretto è invece quello di pensare prima a un modello di business basato sul valore che si può fornire tramite i dati, per esempio, permettendo a un’azienda di diventare più competitiva sul versante marketing. Fino ad arrivare addirittura ad avere una line of business, cioè un servizio che produce un reddito vero e proprio. È molto utile prendere spunti da altri modelli cioè da business di settori diversi dal proprio e che hanno avuto delle idee che magari anche nel proprio contesto potrebbero funzionare. E si deve usare molto la fantasia”.

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Fabrizio Pincelli

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