Industria 4.0, ora la sfida è digitalizzare piccole imprese

Il quadro della digital transformation in Italia che emerge dall’indagine EY-Ipsos presentata alla due giorni di Capri. Grandi imprese più propense al cambiamento, mentre per le piccole ci sono più resistenze all’evolvere il modello di business

Pubblicato il 09 Ott 2018

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A frenare la trasformazione digitale per le imprese che operano in Italia vanno progressivamente diminuendo i problemi infrastrutturali, ma permangono quelli culturali. Questo soprattutto se si focalizza l’attenzione sulle realtà più piccole, dove generalmente la resistenza al cambiamento è più marcata rispetto ai grandi gruppi, più abituati a competere sul mercato globale, che hanno già ben chiaro la direzione in cui sta andando il mercato e le mosse da fare per non rimanere esclusi dal cambiamento e dai vantaggi che potrebbe comportare. 

E’ quanto emerge dall’indagine realizzata da EY in collaborazione con Ipsos e con il centro studi Intesa Sanpaolo, presentata a Capri durante l’undicesima edizione di EY Capri digital summit,  focalizzato sull’impatto della digital transformation su popolazione e imprese. 

Dalla presentazione dello studio, affidata a Donato Iacovone, Ad di EY in Italia e managing partner dell’Area mediterranea, e Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos in Italia,  in cima agli ostacoli che le imprese incontrano nell’ultilizzo di tecnologie digitali ci sono la resistenza al cambiamento (per il 54% del campione) e la mancanza di competenze specifiche (27%). 

Ma scendendo un po’ più nel particolare emerge che le imprese più grandi sono in realtà riuscite a cogliere la necessità di introdurre nuove competenze in azienda per facilitare la trasformazione digitale, mentre per le realtà più piccole rimane la necessità di evolvere il modello di business: così l’11% delle aziende con più di 250 addetti ha un livello di digitalizzazione molto alto, mentre per il 19% il livello è molto basso. Se si considerano le aziende di piccole dimensioni (10-49 addetti), soltanto l’1% di queste ha un livello di digitalizzazione molto alto, mentre il 58% lo ha molto basso.

Quanto agli incentivi messi a disposizione dal Governo, il 66% delle imprese italiane ne ha usufruito, anche se dalla ricerca risulta che le aziende investono ancora poco in innovazione di processo e di prodotto e nelle tecnologie della “new digital wave”, dai big data all’Internet of things alla robotica. Ne consegue che gli incentivi sono serviti prevalentemente a rinnovare l’hardware obsoleto, con gli investimenti orientati soprattutto a tecnologie come sicurezza informatica (45%), applicazioni web e mobile (28%), social media (18%) e cloud (16%). 

Allargando lo sguardo per una visione complessiva dei risultati della ricerca, dallo studio emerge che per accelerare la digital transformation del Paese bisognerebbe puntare su tre direttrici: infrastrutture, competenze digitali e un’impostazione culturale coerente con le nuove tecnologie.

L’Italia oggi sopra alla media europea nel campo delle infrastrutture 4G, con una copertura del 99%, e sta recuperando il gap dell’ultrabroadband, che però manca ancora di capillarità sul territorio: in più di 11mila zone industriali in cui sono attive più di 480.000 imprese (circa il 10% del totale), solo un terzo è raggiunto dall’Ultrabroadband di rete fissa. 

Un’altra nota dolente  è quella che viene dalla pubblica amministrazione: l’Italia è infatti ventunesima su 28 per indice di e-government ed è in ritardo rispetto alla media europea in gran parte delle componenti che costituiscono l’indice di digitalizzazione. Questo non tanto, secondo lo studio, per una carenza nell’implementazione dei servizi pubblici digitali, che risultano essere al livello di quelli degli paesi dell’area Ue, quanto per alloro scarso utilizzo, dovuto alle scarse competenze digitali dei cittadini-utenti.

“Nel processo di trasformazione digitale che sta investendo la nostra economia, l’Italia paga un’insufficienza di cultura e competenze digitali e una scarsa dinamicità delle start-up – afferma Donato Iacovone – Questi limiti, soprattutto per le PMI, possono essere superati se si realizza una ‘contaminazione’ di attori esterni. Lo stimolo all’introduzione di nuove tecnologie può arrivare dai clienti, da consulenti/provider tecnologici o anche dai dipendenti, soprattutto per le aziende più giovani. Infrastrutture, cultura e competenze sono fondamentali per avviare il processo di digitalizzazione ma da sole non sono sufficienti a garantirne un’efficace ricaduta. Occorre che questi elementi vengano inseriti in un contesto di crescita dell’ecosistema di un’azienda, attraverso la collaborazione con clienti e fornitori, in grado di coinvolgere e trasformare l’intera filiera produttiva”.

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