Supply Chain

Supply chain, la crisi colpisce il 51% delle industrie italiane: i dati di reichelt elektronik

Un’indagine di reichelt elektronik, su un campione di 250 decision-maker IT del settore manifatturiero italiano, ha registrato un aumento del 20% dei “fermo produzione” durante gli ultimi dodici mesi, per un totale di 44,2 giorni (in media), a causa dei ritardi e dei rallentamenti lungo la catena di approvvigionamento. Ne emerge la necessità, per le aziende, di ripensare urgentemente la loro strategia.

Pubblicato il 21 Feb 2022

I ritardi e i rallentamenti di cui hanno sofferto e soffrono tuttora le catene di approvvigionamento hanno fatto emergere la necessità, per le imprese italiane, di ripensare il concetto stesso di magazzino. Se, nel mese di maggio 2021, il 71% delle aziende manifatturiere italiane era ottimista circa la possibilità di un miglioramento nell’arco dei dodici mesi successivi, i dati attuali mostrano un lieve peggioramento, tanto che solamente il 62% ha ancora fiducia in una possibile ripresa.

A otto mesi di distanza dalla prima indagine, un ulteriore studio commissionato da reichelt elektronik all’istituto di ricerca OnePoll – condotto durante il mese di gennaio 2022 su un campione di 250 decision-maker IT del settore manifatturiero italiano – torna ad analizzare le conseguenze dei colli di bottiglia che caratterizzano la supply chain odierna.

Aumenta la durata del fermo produzione e rallenta il reperimento scorte a magazzino

Il 51% dei rispondenti italiani evidenzia come i ritardi della supply chain abbiano avuto un forte impatto sulla loro azienda nell’ultimo anno, soprattutto in termini di fermo produzione. Mentre nel periodo gennaio-maggio 2021 le aziende avevano registrato una media di 36,8 giorni di fermo produzione a causa dei colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento, le analisi ora segnano un aumento del 20%, che equivale a 44,2 giorni di fermo produzione in media durante gli ultimi dodici mesi.

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Per tentare di arginare i ritardi, il 40% delle aziende ha deciso di aumentare le scorte a magazzino, seppur non in modo significativo, a fronte di un 46% di aziende che avevano preso questa decisione già a maggio 2021. Ciononostante, la situazione attuale del mercato e la volatilità delle catene di approvvigionamento stanno causando rallentamenti anche nel reperimento delle scorte, in particolare di componenti o materiali critici: il 42% afferma, infatti, di aver riscontrato difficoltà in diverse occasioni, mentre il 41% solo occasionalmente.

A preoccupare la scarsità di risorse e di lavoratori qualificati, le imprese decidono di internalizzare

La scarsità di risorse rientra tra i problemi emersi anche a maggio 2021, ma i dati mostrano come la situazione sia ulteriormente peggiorata: il 36% degli intervistati italiani conferma che questo aspetto una delle maggiori preoccupazioni. In particolare, il 34% teme che l’attuale instabilità delle catene di approvvigionamento possa innescare un aumento del costo dei componenti critici, come la microelettronica (32%). Il 12% dei decision-maker intervistati afferma come anche la mancanza di lavoratori qualificati sia un elemento importante da considerare e fonte di preoccupazione.

In questo contesto, più della metà dei rispondenti (52%) ha internalizzato la produzione di alcuni prodotti; il 28%, invece, ha intenzione di ricominciare a produrre internamente alcuni prodotti. Un quinto degli intervistati (20%) afferma di non avere programmi in tal senso.

Una volta terminata la crisi della supply chain, il 60% delle aziende ritiene che tornerà in auge l’approccio Just-in-Time, almeno per quanto riguarda la maggior parte dei componenti, con la differenza che si continuerà a tenere alte le scorte a magazzino dei componenti più critici.

Rafforzare le capacità tecnologiche e di innovazione per governare la catena del valore globale

Tuttavia, non tutti i prodotti possono essere facilmente prodotti in-house, ne sono un esempio i semiconduttori. Per i rispondenti italiani, gli impianti europei potrebbero rappresentare un’alternativa attraente per limitare i ritardi dell’approvvigionamento. Per tali ragioni, l’Europa avrebbe bisogno di più sedi produttive proprie, sebbene i semiconduttori europei non siano ancora in grado di tenere il passo con quelli prodotti nell’Asia orientale, soprattutto in termini di costi.

Per il 68% delle aziende italiane, l’aspetto decisionale di primaria importanza riguarda la capacità di garantire e rispettare la sicurezza delle forniture, oltre a una differenza di prezzo minima (45%), una stabilità di prezzo a lungo termine (37%) e un miglior equilibrio ambientale rispetto alla concorrenza (33%).

Per non perdere terreno rispetto al mercato globale delle tecnologie del futuro – come la produzione di semiconduttori – il 53% delle aziende giudica positivamente il sostegno dello Stato, mentre il 44% ritiene necessari maggiori sostegni per la ricerca sulle tecnologie del futuro e la produzione di componenti essenziali.

(In questo servizio parliamo dell’ambizione dell’EU Chips Act di costruire una catena di approvvigionamento dei semiconduttori resiliente, stabilendo misure per preparare, anticipare e rispondere alle future interruzioni della supply chain, alla ricerca di autonomia crescente dai fornitori esteri).

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