Compliance

Corsi di formazione sulla sicurezza e datori di lavoro: ecco come applicare correttamente la norma

Esiste il rischio di una ambiguità che potrebbe portare a pensare che lavoratore significhi dipendente, che datore di lavoro significhi capo e che RSPP significhi responsabile della sicurezza, per fare alcuni esempi. Con la prevedibile conseguenza che non tutti i lavoratori e non tutti i datori di lavoro partecipino ai percorsi formativi obbligatoriamente previsti dal decreto per il loro ruolo

Pubblicato il 20 Nov 2020

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Uno dei problemi più gravi che il TUSL (il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, di cui al Dlgs 81/2008 e s.m.i.) genera è legato all’ambiguità dei termini usati per definire delle circostanze, in particolare dei ruoli organizzativi, fattuali. Ambiguità che porta la maggior parte delle persone, talvolta anche molti addetti ai lavori, a pensare che lavoratore significhi dipendente, che datore di lavoro significhi capo e che RSPP significhi responsabile della sicurezza, giusto per fare alcuni esempi. Ambiguità che porta alla prevedibile conseguenza che non tutti i lavoratori e non tutti i datori di lavoro partecipano ai percorsi formativi obbligatoriamente previsti dal decreto per il loro ruolo. Può esistere quindi un problema legato alla formazione sulla sicurezza dei datori di lavoro.

Le definizioni dell’art.2 del TUSL riguardo la formazione sulla sicurezza

Per comprendere appieno il problema, quindi, è necessario partire dalle prime quattro definizioni dall’art. 2, co. 1 del TUSL, di cui si riporta un’estrema sintesi:

  1. Lavoratore: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa, con o senza retribuzione.
  2. Datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, ha la responsabilità dell’organizzazione in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
  3. Azienda: il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato.
  4. Dirigente: persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa.

In altre parole, il lavoratore è semplicemente colui che lavora, a prescindere che sia l’ultimo arrivato degli apprendisti in prova, un volontario, un veterano prossimo alla pensione o chi ha fondato l’impresa (se vogliamo limitare il discorso al solo contesto economico privato), ovvero l’azienda. Quante volte capita che il fondatore di un’azienda partecipi in prima persona ai processi produttivi in senso lato, lavorando per la sua impresa? Il rapporto è ragionevolmente prossimo a 1, cioè al 100%, la totalità, con valori tanto maggiori quanto più piccola è l’impresa.

Questo ci porta a formulare il seguente postulato: più è piccola l’impresa, più è probabile che il datore di lavoro sia un lavoratore.

Obbligo di formazione sulla sicurezza anche per i datori di lavoro

Dall’altra parte abbiamo il datore di lavoro, quell’entità che è titolare del rapporto di lavoro (cioè ha un accordo con il lavoratore) o, comunque, ha il potere di decidere, di organizzare e di spendere. Dettagli non da poco, se si pensa, verbigratia, al complesso mondo del lavoro in somministrazione, il cui il lavoratore ha un rapporto di lavoro con l’agenzia di somministrazione, ma ha il suo datore di lavoro nel cliente dell’agenzia presso cui è mandato in missione. Ne consegue che il datore di lavoro non è necessariamente detto che sia una persona fisica, anzi, sovente è una persona giuridica o, più genericamente, un ente. Tant’è che nelle pubbliche amministrazioni per datore di lavoro s’intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa.

Ciò detto, a prescindere dall’ambito pubblico o privato che sia, è bene ricordare che il TUSL dispone che in caso di omessa individuazione o di individuazione non conforme ai criteri determinati dal decreto medesimo, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo. In altre parole: salvo differente espressa individuazione, il datore di lavoro privato coincide con il vertice aziendale, in qualunque forma esso si manifesti (v.g. sistema monistico o dualistico).

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Ora si comprende meglio il significato di dirigente, ovvero quella persona fisica, dotata di adeguata delega, conferita sulla base di competenze professionali e poteri gerarchici, a cui è conferita la responsabilità. La domanda è chiara: chi è quella persona fisica che corrisponde a quella descrizione? Di solito, il capo o, in modo proporzionale alla complessità dell’azienda, uno o più amministratori delegati.

Fatta questa doverosa premessa, dovrebbe essere chiaro come il mercato della formazione stia alimentando una falsa credenza erogando percorsi didattici che, in alcuni casi, si rivelano inadeguati e non conformi. Questi casi sono sostanzialmente riconducibili a tutti quelli in cui il capo segua solo il corso per datore di lavoro che esercita le funzioni di RSPP (nella migliore delle ipotesi) e a quelli in cui il capo affidi il ruolo di RSPP a qualcun altro, senza poi seguire alcun corso.

Questa prassi, ormai consolidata, genera due conseguenze, entrambe sfavorevoli: la prima è che in azienda qualcuno non sarebbe formato adeguatamente, mentre la seconda è che si sta rinunciando a una considerevole fetta di mercato.

Infatti, nel primo caso, ai sensi della normativa attuale il capo acquisirebbe sì le competenze del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, al termine di un percorso che può durare dalle 16 alle (almeno) 48 ore, a seconda del rischio presunto (basso, medio, alto), mancando, nel caso in cui si eseguisse alla lettera il programma “minimo” per dirigenti, di trattare argomenti chiave come (i) gli organi di vigilanza e le procedure ispettive, (ii) compiti, obblighi, responsabilità del SPP e tutela assicurativa, (iii) delega di funzioni, (iv) il rischio da stress lavoro-correlato, (v) il rischio ricollegabile alle differenze di genere, età, alla provenienza da altri paesi e alla tipologia contrattuale, (vi) la considerazione degli infortuni mancati e delle risultanze delle attività di partecipazione dei lavoratori e dei preposti o (vii) importanza strategica dell’informazione, della formazione e dell’addestramento quali strumenti di conoscenza della realtà aziendale.

Nel secondo caso, ben più grave sotto al profilo normativo e sanzionatorio, il capo è molto probabile che non segua alcun percorso formativo, in ragione di tutte quelle giustificazioni, attenuanti, scuse e affermazioni che possono essere sintetizzate, senza timore di esagerare, in “io sono il capo, non devo formarmi perché so già tutto”. La conseguenza è che in azienda si avrebbe la presenza di una persona che non è formata né come lavoratore, né come dirigente, né come datore di lavoro con funzioni di RSPP. Il rischio che questa persona ignori completamente taluni argomenti rilevanti è, quindi, elevatissimo e potrebbe avere pesanti ripercussioni per l’intera organizzazione, per le persone coinvolte direttamente e indirettamente o per l’ambiente.

Conclusioni

In definitiva: se un datore di lavoro è identificato in una persona fisica, tale persona dovrebbe seguire il percorso formativo previsto per i dirigenti, eventualmente integrandolo con i temi trattati in quello previsto per i datori di lavoro che assumono anche il ruolo di RSPP e che non ha ancora affrontato.

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D
samuel de fazio

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