Norme

Videosorveglianza in azienda: quali regole per la privacy

Le telecamere orientate verso i tornelli posti all’ingresso delle sedi aziendali sono da considerarsi a tutela degli interessi aziendali o possono ledere la riservatezza dei lavoratori? Ecco l’orientamento giuslavoristico

Pubblicato il 03 Dic 2020

videosorveglianza privacy

Una delicata questione rilevabile nelle aziende, in ottica data protection, riguarda l’orientamento delle telecamere di videosorveglianza: in dettaglio, è opportuno chiedersi se le riprese orientate sui cosiddetti tornelli posti all’ingresso di sedi aziendali a uso ufficio costituiscano un trattamento lecito (e quindi consentito) oppure non lecito in quanto “eccedente”, tenendo in considerazioni le valutazione del Garante sul tema di cui al noto Provvedimento del 2010, da interpretare in combinato disposto con il novellato art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970). Il dubbio quindi è: può considerarsi legittima l’installazione e l’impiego di un impianto di videosorveglianza focalizzato sul dispositivo di timbratura (badge) dei lavoratori nella misura in cui l’acquisizione delle immagini così riprese possa (ma non necessariamente) costituire una forma di controllo dell’attività dei lavoratori, una violazione della privacy?

Il provvedimento 8 aprile 2010 del Garante e l’art. 4 Statuto dei Lavoratori: un rapporto “complicato”

Il punto di partenza dell’analisi deve necessariamente iniziare dall’esame del Provvedimento dell’Autorità Garante a carattere generale in materia di videosorveglianza risalente all’8 aprile 2010[1] (ancora oggi efficace e applicabile) che riconosce espressamente il divieto di effettuare riprese “orientando la telecamera sul badge” (par. 4.1). In particolare, nel predetto Provvedimento citato è espressamente previsto che “Nelle attività di sorveglianza occorre rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa, pertanto è vietata l´installazione di apparecchiature specificatamente preordinate alla predetta finalità” e che “non devono quindi essere effettuate riprese al fine di verificare l´osservanza dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell´orario di lavoro e la correttezza nell´esecuzione della prestazione lavorativa”.

Come si nota, nel 2010 l’Autorità Garante giustificava tale divieto assumendo che il trattamento derivante dall’orientamento fisico di una telecamera verso i tornelli di accesso ai locali aziendali dovesse intendersi specificatamente preordinato a verificare l’osservanza dei doveri di diligenza da parte dei lavoratori, presumendo ex ante e in astratto tale finalità proprio in virtù dell’intrinseca con notazione strettamente “monitorante” dell’orientamento delle telecamere[2]. Stando all’opinione dell’Autorità Garante, l’illiceità della condotta era dovuta alla sua idoneità a realizzare un controllo a distanza diretto dell’attività lavorativa in via sistematica, persistente e indiscriminata.

Seguendo questa impostazione, si riteneva così che un simile trattamento (telecamere orientate verso i tornelli) presentasse un ineliminabile difetto di minimizzazione e proporzionalità[3] in funzione dell’esigenza di garantire la massima minimizzazione del trattamento dei dati dei lavoratori.

Mutamenti normativi su videosorveglianza e privacy

Allo scopo, tuttavia, di comprendere più a fondo la ratio di tale previsione, occorre preliminarmente esaminare i mutamenti normativi intervenuti a seguito del menzionato Provvedimento del 2010 e, nello specifico, le modifiche apportate nel corso dell’ultimo decennio al testo dell’art. 4 della L. 300/1970, disposizione oggetto di revisioni significative sia nel 2015[4] che nel 2016[5] . Al fine di giungere ad una soluzione della questione oggetto d’esame, è opportuno comprendere a fondo le connessioni tra il citato provvedimento dell’Autorità Garante e l’evoluzione normativa dell’art. 4 St. lav.

Prima dei summenzionati recenti interventi normativi (del periodo 2015 – 2016), l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori prevedeva espressamente al comma 1: “È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”, un esplicito divieto di utilizzare impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Tale divieto, tuttavia, è stato sostituito dalla vigente disposizione che non esplicita più alcun divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori ma si limita a individuare specifici vincoli di finalità rispetto all’impiego degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti da cui possa derivare anche una possibilità di controllo a distanza dei lavoratori. Si legge infatti che “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale […]”.

Dalle considerazioni appena svolte, emerge subito in modo chiaro che la previsione del divieto di effettuare riprese “orientando la telecamera sul badge” di cui al par. 4.1 del predetto Provvedimento dell’Autorità Garante si inseriva (nel 2010) in un contesto normativo molto diverso da quello attuale: in quel periodo, infatti, si è detto che la disposizione normativa dell’art. 4 dello Statuto prevedeva in modo espresso il divieto di controlli datoriali condotti per il tramite di telecamere di videosorveglianza e aventi ad oggetto direttamente l ’attività dei lavoratori.

Videosorveglianza e privacy: esiste ancora un divieto?

Alla luce dei suddetti interventi modificativi dell’art. 4 St. lav., ci si chiede se il previgente divieto, formalmente non più menzionato in modo esplicito, possa comunque considerarsi ancora esistente e in quale misura. A tal riguardo, è possibile individuare due orientamenti contrapposti nella dottrina giuslavoristica in materia di videosorveglianza e privacy del lavoratore.

Secondo la prima interpretazione, oggi il controllo dell’attività dei lavoratori potrebbe assumere soltanto un carattere “accidentale”, sempre che il datore di lavoro ne sia consapevole; esso verrebbe relegato, dunque, a mero effetto indiretto del controllo “legittimo”, quello effettuato per le finalità tassativamente individuate dall’art. 4, comma 1 dello Statuto (esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale). Come evidente, tale opzione interpretativa porterebbe di fatto ad escludere il potere giuridico di porre in essere i controlli diretti da parte del datore di lavoro, ponendosi in soluzione di continuità con la formulazione previgente.

In base a una seconda interpretazione, invece, i controlli datoriali ben potrebbero avere a oggetto direttamente l’attività dei lavoratori poiché le finalità indicate dal predetto art. 4 identificherebbero non già i limiti posti dal Legislatore a ciò che può essere oggetto di controllo ma, piuttosto, i presupposti causali che legittimano i poteri datoriali di controllo. Secondo tale orientamento dottrinale, dunque, fermo restando il rispetto delle garanzie procedurali (accordo collettivo con i sindacati o, in subordine, autorizzazione dell’Ispettorato), al datore di lavoro sarebbe riconosciuto il potere di controllare direttamente l’attività dei lavoratori qualora detti controlli siano giustificati, a monte, da esigenze produttive, organizzative, di tutela del patrimonio aziendale o di sicurezza del lavoro. Evidentemente, tale soluzione interpretativa, al contrario della prima, si pone in discontinuità logico-sistematica con la formulazione previgente.

Conclusioni

L’ultima opzione interpretativa sembrerebbe trascurare l’importanza fondamentale della dignità del lavoratore che – in una prospettiva di bilanciamento con gli interessi del datore di lavoro – ne risulterebbe svilita. Tale dignità, invece, soprattutto di recente, è divenuta sempre più centrale nella disciplina giuslavoristica. Basti pensare all’art. 88, par. 2 del GDPR, che fa espresso riferimento alla dignità umana del lavoratore o al recente provvedimento Trattamento di dati personali mediante videosorveglianza – 9 maggio 2018[6] dell’Autorità Garante.

La prima opzione interpretativa, invece, parrebbe offrire una soluzione più “garantista” in una prospettiva orientata a tutelare il lavoratore. Pertanto, il divieto di controllo a distanza dei lavoratori, anche se non più presente in modo esplicito nella disposizione normativa vigente, risulterebbe conforme allo spirito “sostanziale” dell’art. 4 dello Statuto e continuerebbe, in tal modo, a vivere attraverso la sua nuova formulazione letterale.

Di conseguenza, volendo attribuire una maggiore valenza all’ultima tesi menzionata, il divieto di effettuare riprese “orientando la telecamera sul badge” di cui al Provvedimento del 2010 dell’Autorità Garante potrebbe ritenersi ancora del tutto compatibile con il corpus normativo attualmente vigente in materia, nonché direttamente efficace alla luce dell’art. 20, comma 4 del citato D. Lgs. 101/2018, che fa salvi gli effetti dei provvedimenti emanati dall’Autorità prima del 25 maggio 2018 “in quanto compatibili” con il GDPR e il D. Lgs. 101/2018.

In conclusione, accogliendo l’impostazione di cui sopra, può dedursi che l’acquisizione di immagini da telecamere orientate verso i tornelli di ingresso alle sedi aziendali potrebbe considerarsi eccedente (e quindi antigiuridica) rispetto al delineato quadro normativo vigente.

Potrebbe dirsi che l’Autorità Garante sembrerebbe aver introdotto de facto una sorta di presunzione (tendenzialmente) assoluta e cioè quella secondo cui la ripresa del badge dovrebbe essere sempre intesa come preordinata al controllo dei lavoratori in via diretta, sistematica e indiscriminata, anche se il terminale di accesso ai locali compare nell’area videosorvegliata soltanto in parte. Una simile presunzione sarebbe superabile solo in presenza di circostanze concrete ed eccezionali (come, ad es., nei casi dei controlli cc.dd. “difensivi”, che presuppongono la ricorrenza di seri e fondati sospetti sulla commissione di fatti penalmente rilevanti).

Al fine di concretizzare ulteriormente quanto sin qui si è cercato di sostenere, si potrebbe dire che, sia pur per il perseguimento delle finalità “legittime” previste tassativamente dal citato art. 4, comma 1 dello Statuto, occorrerebbe sempre evitare di installare le telecamere la cui visuale di ripresa comprenda anche i tornelli di accesso. Diversamente, secondo l’Autorità Garante, si profilerebbe sempre un contrasto con il principio di minimizzazione nonché con il principio di correttezza verso gli interessati (art. 5, par. 1, lett. a) e c) del GDPR), con conseguente pregiudizio della dignità del personale dipendente.

Ciò avverrebbe anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, non volendo rinunciare alle telecamere posizionate “in un determinato modo” e a scanso di “non univoche presunzioni”, decida di attestare formalmente ed espressamente di non utilizzare le immagini videoregistrate per finalità di controllo dei lavoratori. Orientare le telecamere verso le aree di accesso ai locali, escludendo i terminali di timbratura, risulterebbe invece di regola possibile, ferme restando l’esigenza di rispettare i requisiti giuslavoristici previsti dall’art. 4 dello Statuto.

  1. [doc. web n. 1712680]
  2. Sull’individuazione di una “presunzione” tendenzialmente assoluta si tornerà più avanti.
  3. Al riguardo, da ultimo, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Azienda Sanitaria Locale di Ciriè, Chivasso e Ivrea (ASL TO4) – 5 marzo 2020 [doc. web n.9433080].
  4. Per effetto dell’art. 23 del D. Lgs. 151/2015 (cd. “Jobs Act”).
  5. In virtù dell’art.5, comma 2, del D. Lgs. n.185/2016.
  6. [doc. web n. 8998303]

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

R
Raffaele Riccio

Articoli correlati