Innovazione industriale

Industria 5.0: verso la “super smart society” e l’etica delle macchine

L’obiettivo è quello di sfruttare la potenza e la capacità delle macchine dietro la supervisione della mente umana, garantendo così il valore aggiunto di un’alta produzione fortemente personalizzata e aderente ai gusti e alle necessità del consumatore finale

Pubblicato il 08 Set 2020

Anna Capoluongo

avvocato, data protection officer DPO, vicepresidente I.r.l.e.s.s.

automazione industriale

Già nel 2017 uno studio[1] evidenziava come il futuro si sarebbe giocato tutto sul ruolo strategico dell’HR nella digital transformation dell’azienda, sulla diffusione dello smart working – supportato dall’aumentato utilizzo di smart device e Vpn – sulla creazione di un ambiente di lavoro digital friendly e sull’aggiornamento continuo delle competenze digitali dei dipendenti. Da tali cambiamenti si prevedeva sarebbe derivato anche il modificarsi della sfera lavorativa, iniziando, così, a far parlare di future workplace, robotica, digital transformation, gestione del cambiamento e organizzazione agile, age management, welfare e ricerca dei talenti. A distanza di 3 anni – complice anche l’ondata di pandemia che ha travolto il mondo e ha rivoluzionato i rapporti tra Paesi, società, individui e lavoro – tutto ciò è risultato estremamente chiaro e lampante. E in parte anche già concretamente attuato. Ecco, quindi, che si inizia a delineare l’Industria 5.0, quella basata sulla cooperazione tra uomo e macchina, intesa come intelligenza artificiale a beneficio e supporto dell’essere umano.

Un nuovo approccio “human centric”

Se l’approccio avuto sino ad ora, infatti, è stato tendenzialmente incentrato sulla macchina, escludendo l’elemento fondamentale (l’uomo), ora si è chiarito come non sia possibile prescindere da questo, e come, anzi, la quinta rivoluzione industriale debba necessariamente essere human-centric.

Punto di vista che, a ben vedere, è assolutamente in linea con quanto è emerso anche nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni[2] (“Creare fiducia nell’intelligenza artificiale antropocentrica”): bisogna garantire lo sviluppo di un’etica dell’AI che abbia come focus una visione “uomo-centrica”.

In caso contrario, riprendendo un sempre attuale adagio di Stefano Rodotà, “proprio perché i problemi più acuti nascono dalla disponibilità di un arsenale tecnologico sempre più imponente, qui come altrove bisogna chiedersi se tutto quel che è tecnicamente possibile sia pure eticamente lecito, politicamente e socialmente accettabile, giuridicamente ammissibile. L’avvenire democratico si gioca sempre di più intorno alla capacità sociale e politica di trasformare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione in tecnologie della libertà, e non del controllo”.

Il punto focale è, dunque, quello di sfruttare la potenza e la capacità delle macchine dietro la supervisione della mente umana, garantendo così il valore aggiunto di un’alta produzione fortemente personalizzata e aderente ai gusti e alle necessità del consumatore finale.

È, in poche parole, il combinarsi di creatività (umana) ed efficienza (robotica).

Se questa è la prospettiva, bisognerà prepararsi alla nascita e alla diffusione di figure professionali – altamente qualificate – di nuova generazione, come ad esempio quella del chief robotics officer (CRO)[3], e di nuovi “attori”[4], quali banda larga, cloud, cobot (collaborative robot), applicazioni software robot intelligenti (bot) e smart software agent (come Alexa o Google Assistant), con la conseguente, inevitabile, trasformazione del mondo del lavoro, dei diritti, dei doveri e delle responsabilità di datori e lavoratori. Ma con ricadute positive anche in ambito di salute e sicurezza sul lavoro.

Il ruolo dei cobot nell’Industria 5.0

Si pensi, infatti, all’applicazione concreta di queste macchine: nell’Industria 5.0  i robot verranno adibiti sempre più a lavori pesanti, ripetitivi e pericolosi (cosiddetti lavori in 3D: dull, dirty and dangerous), permettendo ai lavoratori di dedicarsi agli aspetti più creativi, di concetto e di governance, assicurando di riflesso benefici in termini di salute, sicurezza sul lavoro e soddisfazione personale.

Si dovrà, pertanto, immaginare e creare un nuovo “modello” lavorativo, cd. collaborative industry, dove l’uomo e il robot integreranno ciascuno le proprie abilità e competenze in favore di uno spazio di lavoro condiviso e più efficiente. E ciò sarà possibile proprio grazie ai cobot, ossia robot collaborativi dotati di intelligenze artificiali e programmati per interagire con gli esseri umani.

I livelli di collaborazione possono essere i più disparati, dal “confinamento del robot”, alla coesistenza (in cui non c’è un confinamento della macchina), alla collaborazione sequenziale (in cui i movimenti uomo-robot sono sequenziali), alla cooperazione (entrambi in movimento nello stesso spazio fisico), per finire con la collaborazione reattiva (in cui il robot risponde in tempo reale ai movimenti del lavoratore).

Queste AI potranno, inoltre, lavorare anche tra di loro, creando gruppi di robot auto-organizzati detti swarm robotics, dotati di intelligenza collettiva o “di sciame” (swarm intelligence).

Per bot o software robot, invece, non si intendono robot fisici, ma programmi software intelligenti caratterizzati dall’essere in grado di operare in favore di un altro utente o programma, mediante un sistema di scambio reciproco. Sono, ad esempio, quelli che vengono utilizzati per imitare il comportamento dell’operatore umano nell’interazione con gli applicativi informativi nella cd. hyper-automation o iper-automazione dei processi di business.

Appare pertanto evidente che se, da un lato, la nuova rivoluzione Industria 5.0 porta con sé grandi opportunità e potenzialità, dall’altro richiede necessariamente un alto livello di attenzione alle sempre calde tematiche della sicurezza, del rischio e dei profili di responsabilità.

Basti pensare che durante la revisione degli standard per i robot industriali, era già stata prevista un’apposita area dedicata ai robot collaborativi. La norma EN ISO 10218-1:2011 e la specifica ISO/TS 15066:2016 hanno, infatti, definito i requisiti di sicurezza per queste AI, intese sia come strumenti adattati sul braccio meccanico per eseguire determinati compiti, sia come oggetti movimentati da quest’ultimo, mentre la EN ISO 10218-2:2011 si è dedicata ai parametri per la valutazione del rischio, pensati anche in funzione del luogo di lavoro industriale previsto, poiché la cooperazione uomo-robot può per sua stessa natura comportare rischi fisici (ad esempio di collisione).

I rischi connessi all’impiego di robot nell’industria

In via meramente esemplificativa i rischi correlati ai cobot nell’Industria 5.0 potrebbero individuarsi in urti, impatti, intrappolamenti, rumori e vibrazioni; in guasti/interferenze/attacchi informatici ai sensori di sicurezza del robot; in malfunzionamenti delle attrezzature utilizzate dai cobot (es. laser, elettrodi di saldatura, pinze, apparecchiature meccaniche ecc.); in contatti e schiacciamenti; in malattie muscolo-scheletriche; in rischi psicosociali (stress per paura di contatti, sentimento di de-umanizzazione del lavoro, l’avversione alla concorrenza del robot) e di cd. “tecno-stress”.

Oltre ai rischi prettamente materiali/fisici, sono da valutare anche – e soprattutto – quelli informatici, legati al comando a distanza, alla cybersicurezza e ai cyber-attacchi, alla manutenzione, alla messa in sicurezza dei dati personali (riguardanti, ad esempio, analisi e profilazione delle persone mediante valutazioni, produttività individuale ecc.) e delle informazioni, così come le ricadute in ambito di danni, titolarità delle responsabilità o mancanza di trasparenza degli algoritmi.

Ecco che, quindi, ancora una volta alle aziende verrà richiesto di seguire il principio del Risk Based Approach, adottando modelli di “security by design e by default” che permettano di ideare infrastrutture (fisiche e logiche) improntate alla sicurezza (fisica, logica e organizzativa), fortemente imperniate su analisi e valutazione dei rischi, rispetto dei principi privacy così come previsti dal Regolamento Europeo 2016/679 e controllo, aggiornamento e adeguamento periodico e sistematico di dati, informazioni e processi.

  1. “La continua evoluzione tecnologica e le numerose funzioni delegabili alle macchine potrebbero far pensare che sia vicino l’avvento della sostituzione dell’uomo con la macchina, mettendo a rischio milioni di posti di lavoro, rimpiazzati da robot. In realtà, la tecnologia nelle sue declinazioni più innovative abilita un nuovo modo di concepire il concetto stesso di lavoro, indipendentemente dal settore di attività o dalle mansioni svolte”. Dalla ricerca “Adp 5.0: come la digitalizzazione e l’automazione cambiano il modo di lavorare, condotta da The European House – Ambrosetti.
  2. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52019DC0168&from=EN.
  3. Il CRO è responsabile di prendere decisioni sulle macchine in qualità di esperto nella comprensione dei robot e della loro interazione con gli umani.
  4. Questi robot potranno essere di svariati tipi e forme, andando da macchine antropomorfe a droni a macchine intelligenti o a guida autonoma.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

C
Anna Capoluongo
avvocato, data protection officer DPO, vicepresidente I.r.l.e.s.s.

Articoli correlati