Servitization

La service transformation come prospettiva di sviluppo per il post-lockdown

Che cos’è la servitization, perché aumenta la resilienza delle aziende e in che modo può rappresentare una soluzione per la business continuity e per attivare nuovi modelli di business. Intervista di Mauro Bellini, Direttore Responsabile Industry4Business a Nicola Saccani, professore associato Università di Brescia

Pubblicato il 10 Giu 2020

open management

Guardare oggi alle prospettive post-emergenza Covid-19 significa cercare di capire come sarà la nuova normalità. Appare a molti chiaro che tra i tanti cambiamenti in corso ce n’è uno che riguarda il rapporto tra consumatori e prodotti o tra imprese e sistemi di produzione. Si avverte una crescita di attenzione nei confronti dei progetti di service transformation o servitization. Per consumatori e imprese appare meno importante il tema del possesso di un prodotto o di un sistema quanto il valore d’uso del servizio che il sistema o prodotto può mettere a disposizione. Abbiamo voluto vedere quali sono le prospettive che apre la servitizzazione nella costruzione di un prossimo New Normal con Nicola Saccani, professore associato dell’Università di Brescia.

 

La service transformation come prospettiva di sviluppo per il post-lockdown

La service transformation come prospettiva di sviluppo per il post-lockdown

Guarda questo video su YouTube

Iniziamo spiegando esattamente cosa si intende per service transformation o servitization

Con servitization o service transformation intendiamo il passaggio dalla vendita di un prodotto alla vendita di un servizio o meglio una soluzione ad uno specifico bisogno del cliente. Questo fa si che le aziende cambino completamente la propria offerta integrata nel prodotto o servizio.

Si pensi al caso Rolls royce che per i motori di aereo è passata dalla vendita in un’ottica transazionale alla vendita delle ore di buon funzionamento in volo del proprio aereo collegando l’acquisto dell’aereo ad un pagamento che è in funzione della disponibilità del bene e che si porta dietro non solo il bene fisico, ma una serie di attività di manutenzione, di monitoraggio da remoto, di sostituzione di parti di ricambio che vengono svolte in capo al fornitore.

Un altro esempio tipico è quello dello sharing ad esempio nel mondo dell’automotive, o del pay per page tipicamente usato nei sistemi della stampa digitale, fotocopiatrici e stampanti, dove l’utente non paga la stampante, ma un tot a pagina stampata e dietro a questo costo c’è il toner, la manutenzione e quant’altro.

C’è un cambiamento di logica da un approccio prodotto-centrico ad un approccio cliente-centrico. Sicuramente contano l’eccellenza di tipo progettuale, produttivo o distributivo ma si aggiunge la necessità e la competenza legata alla comprensione dei bisogni dei clienti, alla messa in piedi di sistemi per erogare i servizi al cliente in modo efficace ed efficiente. Questo si presta ad attività legate allo sviluppo della componente digitale del servizio.

Quali vantaggi hanno avuto le imprese che hanno adottano modelli di servitization nell’affrontare il lockdown?

Beneficiano del fatto che la vendita del servizio associato al prodotto è più resiliente nel momento di crisi. I clienti continuano ad avere necessità di servizi di manutenzione, di parti di ricambio, di servizi avanzati. Abbiamo visto nella nostra indagine che la vendita di ricambi è cresciuta nel momento immediatamente successivo al lockdown.

E vuoi perché i servizi tradizionali hanno comunque subito gli stessi problemi di potenziale integrazione delle attività logistiche produttive, i servizi avanzati basati sul digitale, sui dati, sul supporto remoto, sono cresciuti come volume e livello di interesse. Così come si dimostrano resilienti modelli di business alternativi alla vendita dei beni da parte delle aziende di prodotto, cioè modelli come noleggio, o pay per use con volumi e attese di vendita soddisfacente.

Che ruolo può svolgere la servitization nelle prospettive di sviluppo della fase post emergenza?

La servitization può avere un ruolo molto importante in questa fase di post-emergenza. Può permettere di salvare i ricavi e le marginalità delle aziende, che vedono calare significativamente la domanda di acquisto dei beni. Se il parco installato viene mantenuto in vita e non sostituito richiederà maggiori interventi di manutenzione come servizi fisici o upgrade o controllo remoto su cui le aziende non vedranno calare la domanda, bensì assisteranno ad una crescita. Inoltre, contratti a lungo termini di manutenzione o dei nuovi modelli di business (noleggio, pay per use) proprio per la durata spalmata nel tempo, consentiranno di avere una minore disruption dal punto di vista dei ricavi e quindi un ruolo di salvataggio dei conti economici.

Dall’altro lato vedrà una forte spinta verso il digitale, sarà attore e protagonista della digitalizzazione, perché anche per superare i problemi legati all’erogazione dei servizi di tipo fisico viste le restrizioni, il digitale è una leva fondamentale. Si pensi ai prodotti intelligenti, alla stampa 3D, alla realtà aumentata e virtuale. Queste leve favoriranno l’efficienza e l’efficacia delle relazioni e dei servizi, ma anche chiavi per sviluppare nuovi servizi, una maggior vicinanza al cliente e quindi la possibilità di generare nuove opportunità. Poi il digitale si basa sull’utilizzo di dati: acquisire e utilizzare al meglio i dati legati alla relazione con il cliente costituisce un’altra opportunità generata dalla crisi. Infine, la servitization può contribuire a costituire supply chain più resilienti: il digitale aiuterà a costituire filiere di erogazione dei servizi più distribuite, remote, digitali e ridondanti.

Quali sono i vantaggi e quali sono i rischi della servitization?

La servitization offre molteplici vantaggi. E’ una leva di differenziazione: quanto più diventa facile imitare i prodotti della concorrenza, tanto più diventa difficile la capacità di imitare i servizi soprattutto quando si basano sulla relazione costruita nel tempo con i clienti e sulle competenze legate all’analisi del dati sul parco installato. Questi asset non sono facilmente imitabili. Inoltre contribuisce a spostare il focus dal prezzo del prodotto, a concetti legati al total cost of ownership e alla capacità di sfruttare al meglio il parco installato come fonte aggiuntiva di ricavi e di opportunità di valore. Poiché si basa su contratti di tipo duraturo, consente di tenere legati a sé i clienti per un certo periodo di tempo, il che facilita la fidelizzazione e la retention. Va anche detto che in un periodo come questo è una leva per stabilizzare i flussi finanziari che sono meno soggetti alle fluttuazioni economiche, come il crollo della domanda sui beni di investimento che potremo vivere nel futuro prossimo.

Certo, comporta anche dei rischi. Un primo rischio è di tipo culturale: è difficile trasformare organizzazioni con una cultura tradizionalmente incentrata sul prodotto a una cultura incentrata anche e soprattutto sul cliente e sui suoi bisogni, il che richiede di cambiare mentalità e di acquisire una serie di competenze specifiche a cui molte aziende non sono abituate. Inoltre, richiede un forte commitment, una forte motivazione che deve essere spinta dalla direzione aziendale. L’altro rischio nell’esecuzione della strategia di servitization è legato al fatto che l’azienda offrendo servizi e talvolta mantenendo la proprietà del prodotto, si addossa rischi di tipo finanziario e operativo, perché i costi legati alla distribuzione di un bene vengono sostenuti subito contro al pagamento dilazionato del cliente e operativo perché modelli di servitization avanzati si basano con la garanzia di una prestazione di un bene piuttosto che del risultato. Il fornitore si fa carico che questa prestazione non venga garantita e quindi si deve attrezzare di conseguenza, e ciò richiede tempo, risorse e competenze. Un percorso che va sviluppato nel tempo.

Da dove parte il percorso di sviluppo per le aziende che intendono prendere in considerazione la servitization?

Possiamo ipotizzare due strade:

  1. Percorso canonico: analizzare la propria offerta di servizi e le fonti di valore per i diversi segmenti di clientela, capire le risorse e le competenze che l’azienda possiede per erogare il valore aggiuntivo per il cliente. Sulla base di questo, possiamo sviluppare un piano di sviluppo strategico.
  2. Una seconda leva è quella di cogliere le opportunità e sviluppare sperimentazioni. Ad esempio tramite progetti pilota con singoli clienti che fanno specifiche richieste: cambiare modello di ricavo, prendersi carico di rischi di garanzia, monitoraggio remoto ecc. per cogliere al volo queste sperimentazioni e che provino a utilizzare le nuove tecnologie. In questo modo da un lato costruiamo un piano di sviluppo, dall’altro una base esperienziale da cui apprendere per rendere poi le cose che funzionano trasversali e scalarle a livello diffuso.

Immagine fornita da Shutterstock.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati