Automazione nelle aziende, vantaggi e criticità

La pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione nelle aziende e potrebbe portare a un aumento di produttività nei prossimi anni. Il rischio, però, è la crescita della disoccupazione

Pubblicato il 14 Lug 2021

Mirella Castigli

giornalista

automazione aziende

Le economie europee, grazie all’accelerazione sul fronte della digitalizzazione, hanno l’opportunità di diventare più inclusive, sostenibili e soprattutto resistenti agli sconquassi futuri. Al Forum di Davos 2021, dirigenti di azienda hanno ammesso di aver creato ridondanze per la catena di approvvigionamento, rafforzato la sicurezza dei dati e sfruttato tecnologie evolute, a una velocità del 20-25 per cento superiore a quella ritenuta possibile prima dello scoppio della pandemia. Per conoscere l’incremento della produttività dovremmo aspettare le analisi dei prossimi trimestri, ma già queste informazioni delineano una tendenza in atto. Anche la vulnerabilità emersa nelle catene di valore sta costringendo le aziende a potenziare la supply chain, scommettendo sulla ridondanza che, in prospettiva, renderà le catene di approvvigionamento più resilienti. Ma l’impresa 4.0 non deve solo coniugare domanda e offerta nel mondo post-pandemia, ma anche scommettere sugli investimenti, soprattutto in automazione e trasformazione digitale.

L’automazione nel settore dei servizi

Le aziende stanno investendo in tecnologia per resistere agli sconvolgimenti in atto, ma l’introduzione di maggiore automazione, soprattutto nel settore delle vendite dettaglio e della ristorazione, hanno un impatto nel mercato del lavoro. Negli USA, alcune paninoteche locali di Atlanta o Cincinnati richiedono ordini e pagamento da smartphone, in altri le richieste della scelta dell’hamburger vengono gestite in cuffia da un algoritmo di riconoscimento vocale e non più da un dipendente.

A trainare l’automazione è il settore dei servizi, via via che le regole di distanziamento si confermano la principale eredità sociale della pandemia. Ma un altro fattore che spinge l’acceleratore sull’automazione è la difficoltà, sia negli USA che in Europa, a trovare lavoratori disponibili, nonostante la disoccupazione.

Le imprese, a partire dai negozi alla ristorazione, rispondono a queste difficoltà investendo in maggiore automazione, il che contribuisce a un boom di produttività e dunque ad alzare gli stipendi e a velocizzare la crescita.

I rischi dell’automazione nelle aziende

Un fantasma si aggira per il mondo occidentale: la disoccupazione. Gli economisti avvertono che questa ondata di automazione nelle aziende, magari genererà produttività quindi stipendi più elevati e crescita più veloce, ma ha un rovescio della medaglia molto preoccupante: la perdita dei posti di lavoro e l’erosione del potere contrattuale, soprattutto nella fascia dei lavori con salario più basso. E una volta che un lavoro viene automatizzato, è impossibile che si torni indietro.

La tendenza ad automatizzare alcune professioni era precedente all’inizio della pandemia, ma l’accelerazione in atto sta entrando in una fase critica, a causa della rapida riapertura delle economie, all’aumento della domanda nei settori alberghiero, ristorazione e retail.

I robot non scioperano e non chiedono un aumento di stipendio. La reazione del mondo imprenditoriale è già visibile: l’automazione, un investimento che è a lunga scadenza. E, dunque, nel post-pandemia, il Fondo monetario internazionale (FMI) prevede un massiccio ricorso all’automazione da parte delle Imprese 4.0 per erodere i vantaggi guadagnati dai lavoratori. Secondo il paper pubblicato quest’anno dal FMI, l’automazione potrebbe aumentare le disuguaglianze sociali nei prossimi anni, non solo negli Stati Uniti, ma in gran parte del mondo.

L’automazione può creare nuova occupazione

Dal Future of Jobs Report 2020 (Rapporto sul futuro del lavoro 2020) del Forum di Davos, è emerso che un’accelerazione dell’automazione nelle aziende potrebbe mettere a rischio 85 milioni di posti di lavoro entro il 2025. Tuttavia, l’analisi stima che una nuova organizzazione del lavoro potrebbe generare ben 97 milioni di “professioni del futuro”, nell’Industria 4.0, nei Big data, nel settore IoT, nel mercato Green.

In un sondaggio condotto l’anno scorso dal World Economic Forum (Wef), è risultato che il 43% del business prevede di ridurre la forza lavoro attraverso un mirato utilizzo di tecnologie.

Una parte degli economisti, che temeva la bassa produttività dell’economia USA negli ultimi due decenni (in Italia, uno dei problemi principali del ventennio perduto), incoraggia l’incremento degli investimenti in tecnologie che aumentino la produttività.

Se la produttività è bassa, si riaccende la sfida fra lavoratori e imprenditori, in un gioco dove la competizione sale, ma a vantaggio degli azionisti che hanno il coltello dalla parte del manico.

Se la produttività sale, è vero che l’automazione potrebbe produrre licenziamenti, ma l’incremento di produttività è positivo per l’economia e dunque per tutti i lavoratori, anche per chi, disoccupato, cerca nuovo lavoro. McKinsey cita il caso di un’azienda che cercava da anni di introdurre la tecnologia di realtà aumentata (Augmented reality, AR) nelle sue fabbriche, riuscendo a vincere questa battaglia solo durante la pandemia, quando i voli erano a terra e solo con la tecnologia immersa AR era possibile “portare” un esperto “dentro” un impianto remoto. Con un notevole risparmio di costi, un aumento della flessibilità e della produttività.

Del resto, l’automazione fa aumentare le disuguaglianze da almeno quarant’anni negli USA.

Nella ristorazione, l’introduzione di assistenti vocali, basati sull’intelligenza artificiale, non sta neanche tagliando i posti di lavoro. Grazie alla nuova organizzazione del lavoro, in grado di diminuire la pressione sui dipendenti, il servizio è più veloce e più apprezzato, e ciò genera l’aumento dei clienti.

Automazione e riqualificazione del capitale umano

Software, droni, robot stanno trasformando la logistica 4.0. Ma chi aumenta l’automazione, migliora il servizio e vince la partita della competitività, soprattutto nel retail. Il modello di business vincente si fonda sull’investimento in tecnologie e digitalizzazione. Ora il problema è dare nuove skill ai dipendenti per consentir loro di avere una formazione adeguata nel nuovo mondo post-pandemia.

Riqualificazione, acquisizione di nuove competenze digitali, perfezionamento professionale di generazioni di lavoratori e dipendenti per beneficiare della crescita nell’era della sostenibilità e del digitale.

Anche in Italia, dove la manifattura ha pensato più a innovare i processi dei prodotti, privilegiando in diversi casi il controllo a favore della crescita dimensionale, l’impoverimento di capitale nell’azienda a vantaggio di prosperi investimenti nel resto del mondo, senza creare alcun nuovo posto di lavoro nel loro Paese, oggi si torna a parlare di capitale umano.

Dal XXV Rapporto sull’economia globale e l’Italia del Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, emerge che la digitalizzazione delle imprese mette a rischio 1,5 milioni di occupati, posti in cassa integrazione durante i lockdown. Secondo il Centro Einaudi, la priorità è la formazione del capitale umano, insieme alle riforme del governo Draghi.

Il grado di formazione del capitale umano è scarso e a volte impreparato, ma – proprio per questi motivi – la riqualificazione è ormai imprescindibile. Servono profili adeguati ed è ora il momento di impostare e promuovere un itinerario di formazione e riqualificazione. La ricerca del personale in Italia è in pieno boom (dati superiori al 2019) e non si cercano solo profili alti, ma anche lavoratori manuali. La migliore risposta all’aumento dell’automazione è investire nel capitale umano, scommettendo sulla formazione.

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Mirella Castigli
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