Manufacturing

Lean manufacturing, in cosa consiste, come può cambiare il destino delle aziende

La “produzione snella” ha cambiato in modo dirompente il modo di guardare ai processi produttivi, misurati non più in termini di pezzi o di difetti, ma per il valore che creano per il cliente e per avere il cliente come stella polare. Come evitare di digitalizzare le perdite di processo

Pubblicato il 26 Lug 2021

Gian Luigi Venturin

consulente direzionale e docente

lean manufacturing

Il concetto di lean manufacturing, che negli anni si è evoluto da semplice strumento a sistema di pensiero strutturato, ovvero lean thinking, è facilmente schematizzabile tramite i cinque passi che ne costituiscono il flusso ideale e che vedremo più avanti.

Lean manufacturing: le origini

Alla fine della Seconda guerra mondiale il modello produttivo “vincente” era evidentemente quello di matrice Usa, articolato su disponibilità di energia e materie illimitate con cui produrre grandi quantità di beni di consumo da “spingere” sul mercato e vendere con l’ausilio di grandi campagne di marketing (da cui il termine push che indica questo approccio). Sostanzialmente si progettavano sia il nuovo prodotto sia le azioni di marketing destinate a crearne la domanda (dando così origine, tra le altre cose, anche grazie alla radio e poi alla televisione, alla moderna pubblicità di massa).

Le aziende giapponesi, uscite stremate da una devastante guerra perduta, non erano assolutamente in grado di applicare questa ricetta, causa la mancanza di tutti i fattori che compongono il modello push. Ecco delineato il problema. E l’opportunità? Quella di percorrere strade che nessuno al mondo aveva ancora percorso.

La Toyota e i suoi manager (tra i quali non si può non citare il leggendario direttore di produzione ingegner Taiichi Ohno, considerato il padre del TPS), decisero quindi di andare alle radici dell’essere giapponesi. Focalizziamo l’attenzione su due di queste strade, una che porta al concetto di muda e una che porta a quello di okyakusana: muda per riprogettare il processo produttivo, okyakusana per ridefinire il rapporto con il cliente cui sono destinati i beni in uscita dal processo.

Muda, ovvero dello spreco

Muda è una parola giapponese che significa spreco, e nello shintoismo, che è alla base della cultura nipponica, lo spreco è una sorta di peccato che sperpera le risorse della comunità.

L’orrore per lo spreco, innato in quello che per secoli è stato un povero popolo di pescatori, è interessante da contrapporre all’indifferenza con cui il ricco modello americano “consuma” beni e risorse energetiche.

Taiichi Ohno ha posto muda alla base del TPS, definendo sette sprechi da identificare e rimuovere, che sono:

sovrapproduzione: produrre più di quanto ordinato dal cliente, tipicamente produzione a lotti e per magazzino;

attese: tempi morti, tipicamente in produzione, durante i quali risorse umane e/o tecniche attendono senza creare valore;

scorte: materie prime e semilavorati presenti tra le varie fasi di lavorazione, non giustificate da ordini di lavoro;

movimenti: di operatori o macchine, non strettamente necessari alla realizzazione del prodotto;

trasporti: di materie prime o semilavorati, tipicamente da un centro di lavoro o da un reparto all’altro, non necessari al ciclo di lavoro;

difetti: di materie prime, semilavorati e prodotti finiti, che portano a rilavorazioni o contestazioni da parte del cliente;

perdite di processo: lavorazioni inutili in quanto non contribuiscono a formare il valore riconosciuto e pagato dal cliente.

Okyakusana, tratta il cliente come un ospite divino

Okyakusana invece rimanda direttamente al bushido, il codice di condotta morale del samurai, che è alla base dello spirito imprenditoriale giapponese: okyakusana significa allo stesso tempo sia cliente che ospite, e impone di “trattare il cliente come un ospite divino”. Ne deriva che il cliente non è qualcuno a cui vendere qualcosa, ma un ospite di cui occorre comprendere le necessità per poi soddisfarle al meglio.

Okyakusana, un termine antico che ritroviamo oggi nella modernissima funzione Customer Relationship Management.

Lean manufacturing: aspetti qualificanti della produzione snella

La lean manufacturing è facilmente schematizzabile tramite i cinque passi che ne costituiscono il flusso ideale:

1. identificare il valore (Value) di un prodotto o servizio di interesse per il cliente;

2. allineare le attività che creano il valore (Value Stream) nella giusta sequenza;

3. far scorrere il flusso del valore (Create Flow) senza interruzioni;

4. attivare il flusso del valore (Pull) in base alle richieste del cliente;

5. assumere la perfezione (Seek Perfection) quale riferimento per i programmi di miglioramento continuo.

Lean thinking ha cambiato in modo dirompente il modo di guardare ai processi produttivi: questi non sono più misurati in termini di pezzi o di difetti, ma primariamente per il valore che vanno a creare per il cliente e per come sono in grado di focalizzarsi esclusivamente su questo aspetto, avendo il cliente come stella polare. Ecco quindi che tutto ciò che non crea valore è muda, che distrae dal perseguire okyakusana.

Sono molte le frasi a effetto con cui negli anni si sono riassunti gli aspetti salienti dei due modelli, quello americano e quello giapponese, una cui sintesi potrebbe essere, per il modello americano taylorista/fordista “facciamo automobili per fare soldi”, e per il modello nipponico shintoista/toyotista “prima di fare automobili creiamo valore, i soldi saranno una conseguenza”.

Il processo produttivo lean non spinge più i propri prodotti sul mercato, creando successivamente una eventuale domanda ad hoc, ma è il cliente che identifica un valore di interesse e attiva con il proprio acquisto il processo, “tirando” (pull è il nome di questo approccio) a sé il prodotto o il servizio desiderato.

Evidente che affinché tutto scorra in modo fluido non ci devono essere muda, sprechi, e che il flusso resti focalizzato sulla richiesta del cliente, okyakusana.

lean manufacturing
Una fabbrica Toyota

La lean manufacturing messa in pratica

Dalla sua definizione negli anni ’90 fino a oggi, lean thinking ha sviluppato e codificato molteplici strumenti d’intervento con i quali avere un percorso di miglioramento strutturato, solido ed efficace.

I principali e più diffusi tools sono:

– organizzazione del posto di lavoro e delle aree di produzione con le 5S;

– livellamento della produzione attraverso One-piece-flow e Cellular manufacturing;

– ripristino del solo materiale necessario in produzione con la logica Kanban;

– produrre solo quando il cliente ordina Pull system e solo quello che ordina Just-In-Time;

– riduzione dei tempi di set-up con SMED Single Minute Exchange of Die;

– miglioramento dell’efficienza degli impianti con TPM Total Productive Maintenance;

– mappatura della generazione del valore nei processi produttivi con VSM Value Stream Mapping;

– creazione di un ambiente teso al miglioramento continuo con Kaizen.

Strumenti diversi sono sostanziali ad approcci diversi dai quali iniziare a implementare logiche lean thinking, due di questi in particolare hanno però la caratteristica di essere trasversali e indispensabili in qualunque caso: VSM e Kaizen.

Il Toyota production system

Un esempio di come un’azienda ha saputo gestire un grave problema di sopravvivenza, riuscendo a estrarre tutte le opportunità in esso contenute, è offerto dalla Toyota Motor Company e dalla sua storia. Negli anni ’50 del secolo scorso la Toyota era una piccola casa automobilistica giapponese praticamente fallita che, nel 2007, dopo una lunga corsa d una radicale trasformazione, è diventato il primo costruttore di auto al mondo, sia per volumi che per profitti, mantenendo questa leadership fino al 2015, quando è stata raggiunta e superata da Volkswagen, con la quale da allora si alterna al primo posto in un avvincente testa-a-testa.

La straordinaria performance di Toyota fu oggetto di una ricerca del Massachusetts Institute of Technologies, iniziata nel 1985, i cui risultati vennero pubblicati nel 1990 nel libro The Machine that Changed the World di J. Womack, D. Jones e D. Roos. Nel libro venne usato il termine lean production, per indicare il metodo produttivo Toyota TPS (Toyota Production System) caratterizzato dall’essere privo di sprechi (snello/lean), successivamente descritto nei suoi principi applicativi fondamentali nel 1996 nel libro Lean thinking, sempre di J. Womack e D. Jones.

VSM, alla ricerca del valore (perduto) pagato dal cliente

Come ogni buon manager sa, il primo passo da compiere quando si vuole mettere mano ai propri processi è procedere con un serio assessment, con il quale descrivere nel dettaglio la situazione presente as is, per poi delineare to be ovvero come la si vorrebbe, individuando quali tools utilizzare per perseguire il risultato.

VSM ovvero la mappatura del flusso del valore, attuata a partire dal singolo prodotto o servizio e non a tappeto sull’intera fabbrica, permette di descrivere in modo visivo e con il supporto di dati certi tutto il percorso che un prodotto o servizio compie per essere realizzato e giungere al cliente finale, evidenziando gli sprechi che disperdono valore.

Esemplificando, se sommiamo i tempi ciclo teorici di lavorazioni interne ed esterne necessari alla realizzazione di un prodotto e otteniamo 8 ore, e se poi andiamo a misurare quanto tempo intercorre realmente tra la prima operazione e l’ultima e otteniamo 20 giorni, ci troviamo di fronte a:

  • A) un enorme problema,
  • B) un’incredibile opportunità di miglioramento;

il tipo di risposta che istintivamente chi legge ha dato è significativa del lean thinking mindset nel quale si trova ad operare.

Kaizen, una parola giapponese che significa “noi miglioriamo insieme”

Defilato rispetto a quanto scritto finora, è stato volutamente tenuto il concetto di miglioramento continuo, nell’intenzione di trattarlo parlando di kaizen, che ne è la naturale derivazione.

Miglioramento continuo è stato il vettore che, giorno dopo giorno e con un impegno costante, ha portato Toyota a scalare le classifiche mondiali, in una rincorsa durata cinquant’anni. Evidente che Toyota non ha cercato il plauso immediato degli azionisti ma si è data un obiettivo che più a lungo termine di così…

Miglioramento continuo è un’azione costante, quotidiana, che appena raggiunge un traguardo se ne dà subito un altro, nell’incessante ricerca della perfezione seek perfection da offrire al cliente.

Lean thinking non distingue tra chi in azienda è C.E.O oppure fa le pulizie: tutti sono chiamati, ciascuno per propria parte, a tendere idealmente alla perfezione in ogni azione compiuta durante l’espletamento delle proprie mansioni lavorative. Lean thinking semmai distingue tra grossi miglioramenti rivoluzionari chiamati kaikaku, che avvengono grazie a forti investimenti e che sono calati in un sol colpo dall’alto dell’organizzazione aziendale, in una logica top-bottom, e piccoli miglioramenti quotidiani kaizen che avvengono per passi successivi, che chiunque nell’organizzazione può proporre e mettere in atto ovunque, in una logica bottom-top.

Il miglioramento continuo, secondo la definizione appena data, è la vera essenza del lean thinking, e le tecniche più sopra descritte, unitamente a tutte quelle che non hanno trovato spazio in questa breve trattazione, non sono altro che semplici strumenti che vanno a costituire la tool box di chi in azienda si fa carico di avviare e condividere un percorso in ottica lean. Avviare e condividere è la chiave del successo della rivoluzione lean, che mette l’uomo e il miglioramento delle sue competenze al centro del processo di miglioramento, processo governato tramite la compartecipazione ed il contributo di tutti gli attori che vi afferiscono, stakeholder interni all’azienda (dipendenti, professionisti, azionisti) ed esterni (fornitori, clienti).

Chi è il lean manufacturing manager

Caratteristica del lean thinking tra le più evidenti è la sua capacità di mettere in condizione di esplorare strade nuove ai fini di migliorare le prestazioni di un processo: va da sé che chi è chiamato ad avviare e facilitare questo cambiamento non può permettersi mindset del tipo “abbiamo sempre fatto così”, anzi, è chiamato a combatterli senza quartiere. Quali sono quindi le caratteristiche che deve avere chi governa il processo lean? Al di là di ovvie competenze tecniche in relazione al processo da migliorare, sono importanti la leadership e la capacità di fare team building in modo efficace, la capacità di fare coaching e training allo staff aziendale, la curiosità ed il cambiamento di prospettiva lateral thinking che porta a valutare soluzioni nuove, la capacità di osare ed andare oltre i conosciuti luoghi comuni (quella che gli americani autori di 6 Sigma chiamano breakthrough strategy). A tutte queste soft skills aggiungerei quella che è stata la cifra di un grande innovatore quale Steve Jobs: la sua famosa stay hungry stay foolish si può sicuramente ritrovare nello stato d’animo con cui Taiichi Ohno affrontò l’immane compito di rimette in piedi la produzione Toyota, in un Giappone distrutto da una guerra persa.

Vantaggi per le aziende dalla lean manufacturing

Il processo produttivo senza sprechi della lean manufacturing permette alle aziende di essere reattive e di avere certezze sulla marginalità, il focus mantenuto sul valore che il cliente riconosce ai prodotti/servizi offerti permette di presidiare meglio quote di mercato e cogliere fin da subito variazioni attuando contromosse tempestive, una tensione positiva e costante sui temi del miglioramento continuo mantiene l’intera organizzazione agile e pronta a cogliere tutte le nuove opportunità di business.

Cinquanta e più anni dopo il miracolo Toyota, è interessante vedere come lean thinking ha migliorato, se non addirittura salvato, le sorti di altri due grandi costruttori d’auto: Volkswagen e Fiat.

Volkswagen ha sempre navigato ai piani alti della classifica dei costruttori auto, ma fino al 2015 non aveva mai conquistato la palma di primo costruttore mondiale: cos’è accaduto? Semplice, grazie all’accorpamento di Porsche nel 2012, VW ha fatto sua la core mission di Porsche Consulting che prevede: “Transformation to a Lean organization” (…) “Process optimization for one or more value chains” e “Coaching and training of management and staff to achieve a sustainable change in their performance and attitude”. Il resto è storia dei nostri giorni.

Fiat, dopo essersi salvata nel 2005 per un soffio dal fallimento, nel 2006 sotto la guida di Sergio Marchionne lancia il proprio strumento WCM World Class Manufacturing, progettato dal professor Hajime Yamashina dell’università di Kyoto, consulente lean thinking di fama mondiale e profondo conoscitore dei sistemi industriali italiani in quanto già consulente per Pirelli, Ansaldo e Indesit. Nel 2007 Fiat estende WCM alle controllate Magneti Marelli e Iveco, poi a tutti i fornitori. Fiat, ora FCA, indica nel WCM la chiave che le ha permesso di uscire da pessime condizioni finanziarie e di divenire un solido player automotive. Ma cos’è WCM se non una rivisitazione del lean thinking attraverso la lente dell’analisi dei costi, di cui il cost deploiment è il pilastro portante? Così come lean thinking è focalizzato sul valore del servizio reso al cliente, così WCM è altrettanto focalizzato sull’importanza del servizio reso al cliente, tanto è vero che afferma: “in un’azienda World Class la voce del cliente giunge in ogni angolo”. Più chiaro di così!

Lean thinking e digitalizzazione dei processi

Negli Usa l’adozione di tecnologie digitali, secondo il modello Industria 4.0, ha riguardato un tale numero di realtà produttive e per un periodo di tempo così ampio, da permettere studi approfonditi su costi e benefici di tali operazioni. Nel gennaio 2018 il prestigioso The Boston Consulting Group ha pubblicato l’importante report Avoiding the hidden hazards of Industry 4.0 in cui indicava proprio l’utilizzo degli strumenti lean di caccia agli sprechi quali fattori chiave per evitare di digitalizzare le perdite di processo.Manufacturing

BCG ha quindi proposto una checklist chiamata salmon run per aiutare le aziende a evitare i rischi associati alle iniziative Industry 4.0, attraverso una serie di domande che una società dovrebbe porsi prima di investire in tecnologie digitali per i propri processi, particolarmente utile per valutare le soluzioni che tentano di agire su step senza valore aggiunto.

Obstacle 1): are we working on our company’s biggest problems?

Obstacle 2): have we eliminated or minimized all types of lean waste?

Obstacle 3): have we considered and addressed all behavioural root causes?

Obstacle 4): have we considered hidden costs of technology and alternative low-tech solutions?

Digitize!

Pertanto, secondo BCG, prima di investire in soluzioni digitali occorre portare il più possibile all’eccellenza i processi produttivi, e per fare questo gli strumenti lean thinking sono la soluzione ottimale.

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Gian Luigi Venturin
consulente direzionale e docente

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