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Cos’è l’innovation management
L’innovation management è, letteralmente, la gestione dell’innovazione. Ovvero, la definizione e lo sviluppo di idee e strategie inedite per l’azienda, utili a migliorare processi, prodotti e/o servizi.
Di recente, il termine sottintende la digitalizzazione come unica e principale innovazione per l’impresa, da cui discendono le altre: innovation management è inteso quindi come gestione dei processi di innovazione digitale nelle aziende, sia verso i prodotti/servizi che verso le stesse organizzazioni.
Il Centro Europeo di Normazione ha pubblicato nel 2013 la specifica CEN/TS 16555-1 Innovation Management, una guida per pratiche sistematiche di gestione dell’innovazione, poi sostituita dalla ISO 56002:2021, che, entrata in vigore lo scorso febbraio, detta le linee guida per l’istituzione, l’attuazione, il mantenimento e il miglioramento continuo di un sistema di innovation management.
L’innovation management comprende una serie di approcci teorico-pratici: la distinzione tra i diversi tipi di innovazione (di prodotto, di processo, di sistema); la distinzione tra i diversi gradi di intensità dell’innovazione (incrementale, dirompente, radicale, architettonica); la distinzione tra i diversi modelli di innovazione aziendale, ovvero l’innovazione aziendale interna e l’open innovation, modello che “apre” a startup, università, enti esterni per commercializzare le proprie idee e/o commercializzare quelle altrui. Non ultima, la distinzione tra i diversi driver di innovazione: l’utente (user-driven innovation), il mercato (market-driven innovation), la tecnologia (technology-driven innovation), il design (design-driven innovation).
Video: Cos’è l’innovation management – Rudgers Business School (in inglese)
L’innovation management prevede diversi strumenti in base alle aree aziendali da analizzare e migliorare: dalla gestione della conoscenza al market intelligence, dalla cooperazione alle risorse umane, dalla progettazione e sviluppo prodotto al miglioramento del processo, fino allo sviluppo della creatività e del networking.
Quali vantaggi porta l’innovation management in azienda
La gestione dell’innovazione, intesa come la definizione, lo sviluppo e la realizzazione di nuove strategie di prodotto/servizio o processo, è una leva fondamentale per la competitività aziendale.
L’innovation management efficace non “esalta” l’innovazione fine a sé stessa ma applica metodologie e strumenti ponendoli a servizio degli specifici obiettivi aziendali, che attraverso cambiamenti mirati possono essere raggiunti più facilmente e con meno spreco di risorse.
L’innovation management permette all’azienda di non trovarsi impreparata di fronte ai mutamenti di contesto, alle scoperte tecnologiche, quindi a non perdere di vista il mercato, mantenendo il contatto con le esigenze dei propri utenti. Di conseguenza, a sapervi rispondere con un’offerta “su misura” distinguendosi dalla concorrenza.
La gestione dell’innovazione è un mix che richiede analisi razionale, pensiero laterale, intelligenza emotiva per “tarare” il cambiamento sulla base delle effettive possibilità aziendali, per superare le resistenze interne ed esterne, per ottenere risultati tangibili e concreti.
Quando è efficace, risolve i problemi ricorrenti con soluzioni creative, ridisegna i processi eliminando colli di bottiglia e sprechi e/o aprendo nuove possibilità di business. Aumenta quindi la produttività e riduce i sovraccarichi di lavoro, con maggiore soddisfazione dei dipendenti che migliorano le loro prestazioni e la loro qualità della vita. Una maggiore attrattività dell’azienda nei confronti del mondo esterno si lega all’acquisizione di nuovi talenti nel team, a una diffusione efficace dei valori del brand, al consolidamento della relazione con i clienti storici e ad una maggiore facilità nel comunicare con quelli potenziali.
L’ISO 56002:2021 definisce la capacità di innovare di un’organizzazione come il fattore chiave per una crescita durevole, la redditività economica, un maggiore benessere e lo sviluppo della società.
Innovation management: i diversi tipi di innovazione
Fu l’economista austriaco Joseph Schumpeter a distinguere per primo cinque tipi di innovazione: l’introduzione di nuovi beni, di nuovi metodi di produzione, la creazione di nuove forme organizzative, l’apertura a nuove fonti di approvvigionamento, lo sfruttamento di nuovi mercati.
I primi tre corrispondono oggi all’innovazione di prodotto/servizio, l’innovazione di processo e l’innovazione organizzativa o di sistema.
Innovazione di prodotto/servizio
L’innovazione di prodotto/servizio riguarda sia la creazione e il lancio di prodotti/servizi nuovi sia tutte le attività tese a migliorare e incrementare quelli già esistenti, così da essere più aderenti alle esigenze del cliente e alle trasformazioni del mercato.
Innovazione di processo
L’innovazione di processo riguarda invece il processo produttivo, dalla fornitura al post-vendita, migliorati attraverso la risoluzione di colli di bottiglia o creato ex novo, che permette di ridurre gli sprechi, aumentare la produttività, realizzare nuovi prodotti.
Innovazione organizzativa o di sistema
L’innovazione organizzativa o di sistema riguarda infine i cambiamenti delle strutture organizzative aziendali, in un’ottica di ottimizzazione rispetto ai contesti di riferimento.
Tra Open Innovation e Strategia Oceano Blu
Gli altri due tipi di innovazione individuati da Schumpeter, l’apertura a nuove fonti di approvvigionamento e lo sfruttamento di nuovi mercati, potrebbero essere visti come derivati dei primi tre, o come caratteristiche del modello di open innovation. Il quinto, lo sfruttamento di nuovi mercati, richiama la strategia “Oceano Blu”, coniata nel 2005 dagli economisti W.Chan Kim e Renée Mauborgne: anziché insistere in mercati ferocemente competitivi (oceani rosso-sangue), distinguersi intercettando nicchie più o meno grandi di mercato ancora prive di competitor, gli oceani blu.
Video: Cos’è la strategia Oceano Blu – Harvard Business Review (in inglese)
Innovation management: le diverse intensità di innovazione
Schumpeter considerava l’innovazione come un processo di “distruzione creativa” alla base del capitalismo: si è quindi soffermato su quelle che oggi vengono dette “innovazione dirompente” e “innovazione radicale”.
A seconda del grado di intensità dell’innovazione, è infatti possibile distinguere in: innovazione incrementale o routinaria, innovazione dirompente, innovazione radicale, innovazione architettonica.
L’innovazione incrementale
L’innovazione incrementale è l’innovazione “a piccoli passi”, progettata e realizzata attraverso miglioramenti progressivi all’esistente. Particolarmente indicata per le aziende che seguono l’approccio lean, e quindi il metodo kaizen, l’innovazione incrementale, non a caso stimolata dalla domanda, individua opportunità di miglioramento in strumenti, processi, prodotti e mercati già esistenti.
Il termine si deve all’economista inglese neo-schumpeteriano Christopher Freeman, che con la pubblicazione di “The Economics of Industrial Innovation” nel 1982 distinse tra innovazione incrementale e, come vedremo, radicale. L’innovazione incrementale è continua nel tempo, ha basso livello di incertezza e non richiede particolari stravolgimenti rispetto a tecnologie e competenze già esistenti in azienda. Proprio per quest’ultima caratteristica rientra in quella che l’economista americano Gary P. Pisano nel suo “You need an innovation strategy” del 2015 ha definito “innovazione routinaria”.
Esempi di aziende che hanno puntato sull’innovazione incrementale sono Toyota, Microsoft, Intel.
L’innovazione dirompente
L’“innovazione dirompente” è stata coniata dagli accademici di Harvard Clayton Christensen e Joseph Bower nell’articolo “Disruptive Technologies: catching the wave” del 1995.
L’innovazione dirompente è il risultato di un prodotto o servizio con tecnologie abilitanti ed esistenti, che inizialmente si radica nella fascia bassa del mercato per poi “scalare” e sostituire i concorrenti consolidati con il migliorare delle prestazioni. È conosciuta anche come “innovazione invisibile”, perché non facilmente percepibile dagli attori “consolidati” del settore.
Video: Christensen spiega l’innovazione dirompente – Harvard Business Review
È un’innovazione che richiede investimenti di risorse economiche e cognitive, per l’acquisizione, il controllo e la gestione della tecnologia abilitante e il suo inserimento nei processi aziendali. È “dirompente” innanzitutto per l’azienda stessa che decide di intraprenderla, perché rompe il modello di business tradizionale. Il punto di forza è infatti la creazione di un nuovo modello di business che soddisfi bisogni non ancora intercettati.
Esempi di innovazione dirompente sono il modello Netflix nell’industria audiovisiva o il codice Open Source per le aziende di software.
L’innovazione radicale
L’innovazione radicale, l’opposto dell’innovazione incrementale per Freeman, è la novità assoluta: prodotti, servizi, processi completamente nuovi e impensabili fino alla loro apparizione sul mercato, tanto che generalmente danno vita a nuove categorie di settore.
Per Freeman è l’innovazione del “mai visto prima”, che rompe in modo irreversibile con i paradigmi del passato: sviluppa nuovi mercati, riduce gli sprechi, migliora la qualità. Discontinua nel tempo, l’innovazione radicale è ad alto rischio ed elevati rendimenti in caso di successo. Di conseguenza, richiede cospicui investimenti in termini di risorse economiche e umane. Una volta “apparsa”, l’innovazione radicale tende a diffondersi in tutte le imprese del settore, a distruggere i business esistenti e crearne di nuovi.
Un esempio di innovazione radicale in questa concezione è Internet.
Per Pisano invece l’innovazione radicale richiede la creazione di una nuova tecnologia ma ha poco impatto sul modello di business esistente: un esempio è la produzione di veicoli elettrici nell’industria automobilistica.
L’innovazione architettonica
L’innovazione architettonica, coniata da Pisano, ha molte delle caratteristiche dell’innovazione radicale di Freeman: richiede nuove tecnologie, nuove competenze e nuovi modelli di business.
Video: Gary P. Pisano spiega i diversi tipi di innovazione – Stern Speakers (sottotitoli in italiano)
Innovation management: la figura dell’innovation manager
Il manager dell’innovazione è una figura professionale chiamata ad accompagnare l’azienda in cui opera nella transizione digitale.
La figura dell’innovation manager è stata resa popolare dal Voucher “Consulenza per l’innovazione” messo a disposizione del Mise con Decreto Attuativo del 7 maggio 2019: un contributo a fondo perduto rivolto a Pmi e reti di imprese per consulenze specifiche rivolte alla propria trasformazione tecnologica e digitale.
In particolare, il contributo, finanziato con un fondo Mise dedicato di 75 milioni di euro per le annualità 2019, 2020, 2021, copre: il 50% dei costi sostenuti, fino a 40.000 euro, dalle micro e piccole imprese; il 30% dei costi sostenuti, fino a 25.000 euro, dalle medie imprese; il 50% dei costi, fino a un massimo di 80.000 euro, per le reti di imprese.
Il decreto direttoriale approvato il 25 settembre 2019 dal MISE ha destinato al voucher per il 2019 e il 2020 50 milioni di euro annui, con due riserve: una quota pari al 25% del budget destinata alle micro e piccole imprese e alle reti e una quota del 5% per le Pmi in possesso del rating di legalità. La legge n.126/2020 di conversione del “decreto agosto” ha rifinanziato il voucher per il 2021 con 50 milioni.
Video: È arrivato l’Innovation Manager – Osservatori Digital Innovation
A beneficiarne, le imprese che si servano della consulenza di un innovation manager, iscritto all’apposito elenco MISE o indicato da una società indipendente iscritta allo stesso elenco, con un contratto non inferiore a nove mesi. Purché la consulenza sia finalizzata a sostenere i processi di trasformazione tecnologico-digitale legati al Piano Nazionale Impresa 4.0 con le relative ristrutturazioni gestionali-organizzative, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali.
Tra le finalità indicate tra le spese ammissibili si trovano infatti l’applicazione in azienda di una o più tecnologie abilitanti e/o di nuovi metodi e strategie aziendali e/o di accesso a strumenti di finanza digitale. Tra le tecnologie abilitanti, l’elenco comprende dalla big data analysis al cloud computing, dalla robotica alla realtà aumentata, dall’IoT alla stampa 3D fino a programmi di open innovation e digitalizzazione dei processi. Tra gli strumenti di finanza digitale, oltre la quotazione in Borsa o all’apertura al venture capital, si menzionano l’equity crowdfunding, l’invoice financing, l’emissione di minibond.
Quali sono i compiti dell’innovation manager
L’innovation manager è chiamato a supportare l’azienda nel percorso di digital transformation.
Per raggiungere efficacemente questo obiettivo, dovrà innanzitutto dedicarsi ad un’approfondita analisi di contesto: quanti e quali sono le aree di business, i processi aziendali, quali figure coinvolgono, che tipo di leadership è esercitata in azienda, qual è il clima interno, quali sono i valori che l’azienda esprime e come li concretizza quotidianamente, quali sono le caratteristiche dei prodotti/servizi esistenti e in che modo si differenziano dalla concorrenza, in che modo, con chi e quanto l’azienda si rapporta al mondo esterno.
Dopo aver composto un quadro chiaro dell’esistente, comincerà a individuare il tipo di innovazione e l’intensità più adatte all’impresa. Proporrà quindi alla proprietà i nuovi obiettivi di crescita (del business, degli asset) raggiungibili attraverso un percorso di trasformazione digitale.
A partire dagli obiettivi condivisi, costruirà l’innovation strategy, la strategia di innovazione aziendale più indicata al contesto organizzativo, normativo, di cultura aziendale che contiene la ricerca delle opportunità e una roadmap di sperimentazioni e progetti, con l’individuazione dei processi da modificare, implementare o costruire ex novo e delle tecnologie e dei partner utili a supportare gli obiettivi.
Farà in modo di assicurarsi il sostegno della maggior parte del management aziendale. Coordinerà quindi l’attuazione della strategia, monitorandone le diverse fasi, con una cura particolare alla transizione culturale in azienda.
Attuerà verifiche periodiche che serviranno a migliorare la strategia iniziale, secondo il ciclo Plan-Do-Check-Act. Farà sviluppare all’interno dell’azienda competenze tecniche e manageriali che consentano la gestione della complessità organizzativa e produttiva proprie della trasformazione tecnologica. Avrà cura di documentare, tracciare e comunicare ogni parte del processo.